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Bruno Breguet e l’ombra della Cia

Un nuovo saggio mostra i legami del terrorista ticinese con i servizi segreti americani. Ne ripercorriamo la storia

In sintesi:
  • La sua scomparsa resta un mistero
  • Lo storico Hänni parla di ‘stipendi’ da 3mila dollari al mese
Bruno Breguet
(Keystone)
14 febbraio 2023
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C’ero quel giorno in un’aula gremita al Palazzo di giustizia di Parigi, il 6 novembre 2011, all’apertura del terzo processo contro Ilich Ramírez Sánchez. Noto nel mondo intero come Carlos, "lo sciacallo", la figura più celebre temuta e determinata, ma per non pochi anche leggendaria, del terrorismo mondiale, soprattutto dopo il sequestro di undici ministri del petrolio dell’Opec, a Vienna, nei giorni di Natale del 1975. Già condannato in Francia a due ergastoli per diversi omicidi, in quel brumoso novembre parigino Carlos, atteggiamento arrogante e ampi sorrisi rivolti agli ‘amici’ guidati dal comico antisemita Dieudonné M’bala. Carlos era alla sbarra (ma fisicamente chiuso in un gabbiotto di vetro antiproiettile), accusato di crimini di terrorismo. Appena gli venne concesso, prese la parola per leggere un appello. Era rivolto al presidente americano Barack Obama, al quale in sostanza diceva: gli Stati Uniti sono responsabili della cattura e della scomparsa del combattente internazionalista Bruno Breguet, "se è vivo rimettetelo in libertà, se non lo è restituite le sue spoglie".

Non era la prima volta che Carlos si occupava pubblicamente del locarnese sparito quando con la compagna inglese e la figlioletta era sbarcato ad Ancona su un traghetto proveniente dalla Grecia. La donna si era precipitata sulla banchina, aveva urlato che Bruno Breguet era scomparso. In realtà, disse la versione ufficiale, era stato bloccato dai doganieri italiani, dichiarato ‘persona non grata’, rimesso sullo stesso traghetto, e rispedito verso la Grecia. E non si sa se ci arrivò mai. Dopo il fermo era riuscito a telefonare alla famiglia nel Locarnese. Poche parole: "Se non avrete più notizie di me nei prossimi tre o quattro giorni, ci sarà da preoccuparsi".

Anche allora era novembre, il novembre del 1995, e di lui non si seppe più nulla. Molte le ipotesi sulla sparizione del ticinese che era entrato nel gruppo di Carlos: forse era stato sequestrato dagli americani che di Bruno Breguet conoscevano i contatti con l’Organizzazione rivoluzionaria greca "19 Novembre" (un… ennesimo giorno di novembre), gruppo responsabile di diversi sanguinosi attentati soprattutto contro rappresentanze statunitensi, organizzazione interamente smantellata pochi anni dopo con l’arresto del suo capo Alexandros Giotopoulos; forse catturato dalle forze francesi e trasferito in un carcere della Kfor in Bosnia (Kfor era la forza internazionale di interposizione fra bosniaci musulmani e bosniaci serbi), allo scopo di strappargli confessioni e rivelazioni su Carlos, arrestato da un reparto speciale francese in Sudan, mentre a Parigi si cercavano prove supplementari sulle attività terroristiche dello ‘sciacallo’; o forse finito, Bruno Breguet, nelle mani del Mossad israeliano, che lo aveva sempre nel mirino dopo che il ticinese aveva trascorso sette anni nelle carceri dello Stato ebraico, in seguito all’arresto ad Haifa, quando era sceso da una nave proveniente da Cipro e accusato di trasportare esplosivo per compiere attentati nello Stato ebraico (la sua versione di quegli anni di detenzione è stata data dallo stesso Breguet nel libro autobiografico "La scuola dell’odio"). Oppure, si ipotizzò anche, fatto sparire dai servizi siriani, perché troppo avrebbe potuto raccontare il giovane locarnese sulle complicità del regime di Damasco nel comodo esilio di Carlos e compagni nella capitale siriana.

Sparito nel nulla

Molte ipotesi, labili tracce, nulla di concreto. Soltanto anni dopo la scomparsa ad Ancona era emerso qualche tassello in più della storia: di un anonimo Breguet stabilitosi in un villaggio sulla costa greca (dove in seguito vennero rinvenute le ossa di un cadavere, ma le analisi esclusero che fossero del locarnese), del suo lavoro di carpentiere, di alcuni suoi tranquilli viaggi in Ticino, sempre via Ancona, e senza problemi alla frontiera.

Era sparito nel nulla il giovane internazionalista che, appena ventenne, era entrato come volontario nella resistenza palestinese, aveva aderito al Fronte popolare di Hawatmeh, uno dei pochi leader di orientamento marxista in una lotta armata anti-israeliana in realtà dominata dagli esponenti di una borghesia palestinese di stampo nazionalista, in primis Yasser Arafat. Aveva probabilmente frequentato i campi di addestramento in Libano, dove erano confluiti diversi volontari europei, come ci raccontò un portavoce dell’Olp, ragazzi e ragazze affascinati dalla lotta armata e da quella che ritenevano una giusta causa rivoluzionaria. Fino all’arresto nel porto di Haifa, e a una carcerazione contro cui si erano presto mobilitati diversi intellettuali europei (Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Friedrich Dürrenmatt, Günter Grass, Louis Althusser, Roland Barthes, Michel Foucault, Dario Fo, Alberto Moravia, Noam Chomsky e molti altri), chiedendone la liberazione.

L’arresto

Per la prima volta il legame di Bruno Breguet con Carlos emerse quando il ticinese, alcuni anni dopo la sua uscita dal carcere israeliano, venne arrestato in Francia (era il 1982), insieme all’allora compagna dello ‘sciacallo’, la tedesca Magdalena Kopp, ex esponente dei gruppi rivoluzionari di Francoforte: fermati in un parcheggio sotterraneo degli Champs Élysées mentre trafficavano attorno a un’auto, secondo la versione ufficiale Breguet aveva puntato la pistola contro i due agenti intervenuti, ma l’arma si era inceppata. Fu allora che Carlos inviò una lettera (pubblicata integralmente nel libro dell’inglese David Yallop, ‘Caccia allo sciacallo’), lettera autenticata con la sua firma, indirizzata al presidente Mitterrand, pretendendo "da un governo socialista", come sottolineò cinicamente nella missiva, l’immediato rilascio dei suoi due compagni, minacciando altrimenti una pesante rappresaglia. Minaccia che concretizzò dopo lo scontato rifiuto dell’Eliseo: l’esplosione di un ordigno su un treno (sul quale, si disse, avrebbe dovuto viaggiare anche l’allora sindaco di Parigi, Jacques Chirac), attentato che squarciò un vagone del convoglio e provocò la morte di cinque passeggeri. Vennero condannati Breguet e la Kopp, anche per appartenenza all’Ori (Organizzazione dei rivoluzionari internazionali), a quattro anni di detenzione. "Verdetto politico – mi confidò l’ufficiale della sicurezza al processo –, pena minima, decisa evidentemente in base a un compromesso, per evitare altri guai alla Francia".

Ambiguità siriane

Breguet rientrò nell’ombra. Probabilmente, all’inizio, di nuovo in Siria, uno dei pochi Paesi arabi impegnati fattivamente nell’aiuto alla resistenza palestinese. Tuttavia, l’ospitalità data al gruppo di Carlos (c’è una foto dello "sciacallo" riconoscibile e affacciato alla finestra di un edificio della periferia di Damasco) cominciava a diventare ingombrante per la dittatura di Assad padre, in cerca di legittimità internazionale, indispensabile in una fase in cui il regime siriano pensava di avviare negoziati (come poi avvenne alla conferenza di Madrid) anche con Israele.

Carlos lasciava frequentemente il suo rifugio. Non solo per le sue attività terroristiche, commissionate spesso da regimi del Medio Oriente, ma anche perché sentiva crescere la pressione attorno a sé, e amava la bella vita ("Paranoico e pessimo amante", si sentì in obbligo di precisare la Kopp dopo la separazione). Fino alla cattura a Khartum, nell’estate 1994. Due versioni dell’arresto: quella dei sudanesi, che rivendicarono il fermo e la consegna di Carlos (causati, si disse, anche dai comportamenti ‘libertini’ del terrorista più ricercato al mondo); e la versione di Parigi, che insistette su uno spettacolare blitz delle forze speciali francesi. Di certo lo "sciacallo", convertitosi all’islam e infine sposo di una palestinese, venne "venduto" da chi, anche per motivi di politica internazionale, riteneva la sua latitanza contraria ai propri interessi.

Le nuove rivelazioni

È nel dopo-cattura di Carlos che si innesta subito dopo la misteriosa scomparsa di Bruno Breguet. Ora lo storico svizzero specializzato in terrorismo e servizi segreti Adrian Hänni (autore del libro ‘Terrorist und Cia-Agent’, ed. Nzz) getta una nuova, inedita e documentata luce sulle attività del ticinese: quella di essere stato al servizio dei servizi segreti americani, la Cia appunto, negli anni della sua latitanza in Grecia. Con "regolare stipendio" di 3’000 dollari al mese. Quanto lunga, quella latitanza in terra greca, con precisione non si sa. Confidenza, ma senza prove concrete né conferme ufficiali, che una decina di anni fa ci era già stata fatta da un giornalista della tv ellenica, Dimitri Deliolanes, allora corrispondente da Roma, ma sempre molto informato circa le attività di ‘intelligence’ nel suo Paese.

Ora emerge, fra le ipotesi sulla fine di Bruno Breguet, anche quella che l’ordine di ‘sbarazzarsene’ possa essere stato impartito dallo stesso Carlos, che da tempo, pare, non si fidava più dell’amico e sodale ticinese. Eppure dall’aula del Tribunale di Parigi, nel lontano novembre di 12 anni fa, Ilic Ramírez Sánchez lesse il suo pubblico appello a Barack Obama per avere notizie ufficiali sulla sorte di Bruno. Un altro enigma. In una vicenda che ha innumerevoli pieghe ancora nascoste, e molti tasselli tuttora oscuri.

Questo contenuto è stato pubblicato grazie alla collaborazione con il blog naufraghi.ch