laR+ IL COMMENTO

BoJo, la Brexit e il capitombolo londinese

Dopo essersi illusa di poter cavalcare l’uscita dall’Europa, una classe politica priva di visione è alle prese con un Paese malato

In sintesi:
  • Dal 2016 a oggi, cinque premier si sono succeduti nel tentativo di gestire la Brexit
  • Ora la popolazione, alle prese con la crisi economica, si sta stufando
(Keystone)
10 febbraio 2023
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Per capire il capitombolo che ha portato il Regno Unito a diventare un grande malato, sarebbe sufficiente dare un’occhiata a un breve video, consultabile online, nel quale si vede Boris Johnson affrontare a muso duro l’impiegata di un’agenzia di noleggio auto dell’aeroporto di Torino, per il ritardo con cui gli è stata consegnata la vettura che aveva riservato. Era il dicembre del 2017, BoJo era il Ministro degli Esteri di un Paese già in difficoltà per le conseguenze della Brexit, ma la sua unica preoccupazione sembrava quella di raggiungere in fretta le piste del comprensorio del Sestriere.

Al Governo, a Downing Street, c’era la legnosa Theresa May, succeduta a David Cameron, il premier che nel giugno 2016 offrì ai britannici l’opportunità di decidere sull’uscita dall’Ue, convinto che avrebbero rifiutato. Invece la Brexit passò con il 51,89% dei consensi e, da allora, sono cominciati i grossi guai per il Regno Unito. A iniziare da un’instabilità politica che, dal giorno del voto, ha visto succedersi alla guida del Paese ben cinque primi ministri, tutti conservatori.

Uno di loro, il già citato Boris Johnson, è stato tra i più ferventi sostenitori del ritorno britannico allo "splendido isolamento", convinto che, fuori dall’Unione Europea, il Regno Unito avrebbe riconquistato l’influenza dei giorni dell’impero, grazie ai legami con le nazioni del Commonwealth e ai rapporti privilegiati con gli Stati Uniti.

Invece la Brexit si è rivelata nient’altro che il primo elemento di una tempesta perfetta. Gli altri sono arrivati, nel 2020, con la pandemia da Coronavirus, affrontata soprattutto da Johnson in modo disastrosamente contraddittorio; mentre nel 2022 è scoppiata la guerra in Ucraina, il cui contraccolpo energetico ha punito il Regno Unito più degli ex partner comunitari, senza dimenticare il prepotente ritorno dell’inflazione. Una crisi dietro l’altra affrontate, stando a molti osservatori, da una classe politica per nulla in grado di sviluppare una visione per il Paese. Non dai conservatori, al potere ormai da 13 anni, ma neppure dai laburisti. Roba da far tornare sui propri passi i detrattori di Margaret Thatcher e Tony Blair.

Il risultato di tutto questo concatenarsi di guai è stato un deciso impoverimento delle classi più esposte ai contraccolpi della crisi economica, con il Pil per abitante che potrebbe scendere del 4%. Toccati risultano anche i dipendenti del settore pubblico, tra cui scuola e sanità, che non a caso sono in agitazione. Alle accuse di non essere stati all’altezza rivolte agli inquilini di Downing Street si sommano i comportamenti sopra le righe di alcuni di loro, con in testa il solito BoJo, intemerato gaudente al punto tale da non temere il pubblico discredito per aver organizzato party, non di rado scollacciati, nel palazzo governativo, mentre il resto della popolazione era sottoposto a un rigido lockdown.

In questa situazione tutt’altro che rosea è di scarsa soddisfazione la notizia che, mentre il Paese è entrato in recessione, la borsa di Londra sta battendo tutti i record. E c’è infine da aggiungere che i sudditi britannici non hanno più neppure una salda monarchia cui aggrapparsi. Morta la Regina le è subentrato un figlio nevrastenico, mentre il resto della dinastia se le sta dando di santa ragione.