Le polemiche attorno a Ratzinger e Bergoglio, fomentate da Padre Georg, ricordano certe divisioni ‘all’americana’
"Santo subito". Con una sorta di inno da stadio, non di rado usato in forma irridente ma non questa volta, la folla di fedeli assiepati in piazza San Pietro per i funerali di Joseph Ratzinger ha invocato l’immediata beatificazione del Papa emerito. In polemica, osiamo pensare, con la velocità con la quale il suo successore Jorge Bergoglio ne ha organizzato i funerali, con il paradosso per cui è stato dichiarato il lutto nazionale in Italia ma non in Vaticano. Chi non è particolarmente addentro ai sofisticati meccanismi di potere della Chiesa cattolica segue un po’ sconcertato il vero e proprio parapiglia tra fedeli, teologi e porporati cui ha dato la stura la morte del 95enne Papa emerito. C`è chi intravede, addirittura, lo spettro di uno scisma, perché si è ormai capito che la contrapposizione, maturata per anni, tra bergogliani e ratzingeriani, è qualcosa su cui difficilmente si potrà mettere velocemente una pietra sopra.
A prima vista una contrapposizione tra progressisti e conservatori, che ci rimanda al clima arroventato della Camera dei Rappresentanti statunitense, dove una ventina di esponenti della destra repubblicana ha bloccato fino all’ultimo la nomina alla presidenza di Kevin McCarthy. Anche a Washington c’è l’impressione di essere in presenza di uno scisma strisciante, con il rischio di mandare in frantumi una democrazia che, prima dell’avvento di Trump, pareva saldissima. Ora, nella Chiesa cattolica non vediamo, almeno per il momento, alcun emulo di "The Donald". Ratzinger, per citare l’Amministratore apostolico della Diocesi di Lugano Alain de Raemy, era "un esempio di autentica umiltà, di fine intelligenza e di grande bontà". E non c’è motivo di non credergli.
Eppure in almeno due occasioni, una sulla questione dei preti pedofili, l’altra sul celibato dei preti, si è messo di traverso al fumantino Bergoglio. Ma è stato anche capace di fare retromarcia, quando ha capito di aver seriamente infastidito Papa Francesco. Semmai, nel contrasto tra il teologo tedesco e il gesuita argentino sembra aver messo lo zampino il segretario di Ratzinger, l’arcivescovo Georg Gänswein. "Il prefetto dimezzato", come si è autodefinito paragonandosi al ‘Visconte dimezzato’ di Italo Calvino. Messo da parte da Bergoglio, il quale non l’ha degradato ma gli ha appunto impedito di esercitare la sua funzione di Prefetto della Casa Pontificia, monsignor Gänswein se n’è uscito con un’autobiografia invelenita, intitolata ‘Nient’altro che la verità’. Fisico da attore, ex istruttore di sci, buon giocatore di tennis e ambito negli anni del papato di Ratzinger dai salotti romani, il prelato oggi 66enne si sta comportando da incendiario, come i membri del Tea Party e i loro accoliti al Congresso di Washington.
Guardando alle beghe vaticane non si può non ripensare alla celebre affermazione di Tito Livio, il quale ammonì che "mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata". Ecco, mentre in Piazza San Pietro i ratzingeriani inscenavano la gazzarra del "santo subito", lontani dai palazzi del potere ci sono i preti che fanno i salti mortali da una parrocchia all’altra, fedeli che disertano le messe e vescovi che gettano la spugna sentendosi non dimezzati, ma abbandonati.