laR+ IL COMMENTO

L’accerchiamento perfetto dello Stato

L’istinto di ‘sopravvivenza’ del ceto medio-alto, incarnato dalla destra ticinese, rischia di lacerare il tessuto socioeconomico del Cantone

In sintesi:
  • Dopo l'approvazione del ‘Decreto Morisoli’ è partita l'operazione ‘drenaggio’
  • A un certo punto il confronto tra visioni diverse si trasforma in “guerra redistributiva” tout court
  • Con una grave crisi in corso tutti hanno paura di perdere qualcosa
Scacco matto?
(Depositphotos)
9 novembre 2022
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Prima ti piazzano un bel decreto legislativo che ti costringe a raggiungere il pareggio nei conti pubblici entro la fine del 2025, "agendo prioritariamente sulla spesa, senza aumenti d’imposte e senza riversamento di oneri sui Comuni". Una mossa degna di Kasparov. Dopodiché partono con l’operazione ‘drenaggio’: un po’ di milioni alla volta, piano piano, ti tirano via delle risorse di cui sanno che non puoi fare a meno, soprattutto in questo momento.

In realtà però la partita era già cominciata prima. Il meccanismo del freno al disavanzo accolto dal popolo nel 2014, la riforma fisco-sociale del 2018 e la riduzione delle aliquote sugli utili delle persone giuridiche approvata dal Gran Consiglio nel 2019 sono stati, di fatto, i presupposti che hanno aperto la strada a questo accerchiamento perfetto. A dire il vero, più che a una partita a scacchi, la dinamica sembra essere paragonabile a un incontro di pugilato: la destra ticinese sa di aver messo lo Stato alle corde con il ‘Decreto Morisoli’ e ora ne approfitta per continuare a colpire. Dopo l’approvazione popolare dell’iniziativa del Centro per abbassare l’imposta di circolazione (il che vuol dire che più veicoli hai, più risparmi), spiccano le altre proposte della maggioranza borghese (Udc, Lega, Plr): la neutralizzazione fiscale dell’aggiornamento delle stime immobiliari (a tutela degli interessi dei proprietari di case); la deducibilità integrale dei premi di cassa malati (tutta a vantaggio dei redditi medio-alti che riusciranno così a fare scendere l’imponibile); l’abolizione della tassa di collegamento (chi posteggia non paga); il progetto di sgravi fiscali per le persone fisiche (ricche e molto ricche).

Il vizio di per sé non sta nel fatto di voler agevolare i soggetti appartenenti al proprio bacino elettorale, quello fa parte del gioco. E fino a un certo punto si potrebbe anche essere concordi sul fatto che, allo stato attuale, lasciare dei soldi in tasca al cittadino del ceto medio benestante (perché in effetti sarebbe questo a beneficiare dei vari sgravi e non il ceto medio-basso che fatica ad arrivare alla fine del mese) potrebbe fare parte di una valida strategia per scongiurare il rischio di una profonda recessione.

Laddove invece il confronto tra visioni diverse si trasforma in "guerra redistributiva" tout court è quando, accanto alle iniziative che mirano ad alleggerire la pressione fiscale – diretta o indiretta – sui settori più agiati della società, si costringe lo Stato a rinunciare alla sua capacità d’intervenire a sostegno delle fasce più bisognose. Perché, parliamoci chiaro, è lì che andremo a finire. Se per legge non puoi andare a toccare il moltiplicatore d’imposta; se non puoi neanche "sbolognare" ai Comuni qualche compito dispendioso; se addirittura sei tenuto a rispettare i parametri del freno al disavanzo nell’immediato e poi ad arrivare al pareggio di bilancio nei prossimi tre anni, c’è solo una cosa che tu, governo, alla fine potrai fare: tagliare. Quella che si profila all’orizzonte è difatti una manovra di rientro di "circa 150 milioni", ha stimato lo stratega dell’Udc Paolo Pamini.

Con una grave crisi in corso, è chiaro, tutti hanno paura di perdere. Il paradosso è che nel disperato tentativo di salvare i propri privilegi, l’istinto di "sopravvivenza" del ceto medio-alto rischia di lacerare il tessuto socioeconomico ticinese: prima svuotando le casse dello Stato e poi, per logica conseguenza, ridimensionando la sua presenza.