È sempre più vicina l’ipotesi di una manovra di rientro per le finanze cantonali; basterebbe invece che la politica fosse disposta a infrangere un tabù
Su Deepl e Google translate la parola ceca ‘nesnesitelná’ viene tradotta come ‘insopportabile’. Tuttavia, per un qualche motivo sconosciuto ai più, in italiano l’opera più celebre dello scrittore Milan Kundera è stata intitolata ‘L’insostenibile leggerezza dell’essere’. Un libro che poi è diventato film, e pure il termine inglese ‘unbearable’ (The Unbearable Lightness of Being) corrisponde pure a ciò che noi intendiamo per ‘insopportabile’. Ora, che ‘insostenibile’ e ‘insopportabile’ possano essere considerati sinonimi o meno porterebbe ad aprire un dibattito linguistico che sfugge alle nostre competenze. Per cui è meglio smetterla di disquisire sui significanti: passiamo ai significati.
Il punto è che quando si discute sul volume del debito pubblico del Canton Ticino c’è un equivoco di fondo: il livello d’indebitamento di uno Stato (federale o cantonale che sia) non va misurato e quindi giudicato per il suo valore assoluto. Ciò che conta – per i mercati finanziari, per l’elaborazione delle politiche economiche e per tutti gli attori che partecipano a questo dibattito – è il valore relativo di tale debito in rapporto al Prodotto interno lordo dello Stato debitore. Insistere nel dire che "siamo sull’orlo dei 3 miliardi di debito, miliardi che peseranno come un macigno sulle spalle delle future generazioni" è, dal punto di vista epistemologico, una fallacia. Il livello d’indebitamento pubblico deve essere prima di tutto sostenibile per le finanze cantonali. Dunque, quanto il Cantone possa indebitarsi senza incorrere in grandi rischi lo si capisce soltanto paragonando l’ammontare del debito al valore annuo dei beni e servizi prodotti dall’economia ticinese. Numeri alla mano, vediamo che oggi il Pil cantonale si aggira intorno ai 30 miliardi di franchi, mentre il debito pubblico alla fine del 2021 ammontava a 2,2 miliardi: ciò corrisponde a un tasso d’indebitamento pari al 7,5% circa.
In diverse occasioni il direttore del Dfe Christian Vitta ha affermato che l’indebitamento è un valido strumento per finanziare gli investimenti dello Stato, ma inadeguato per sostenere le spese correnti. Le considerazioni di Vitta, facendo astrazione dal contesto, potrebbero essere ritenute corrette. Ma qui torniamo alla linguistica. O meglio, alla semiologia: come insegna Roland Barthes, non ci può essere vera comunicazione senza riferimenti contestuali. Le attuali circostanze impongono di ragionare in altri termini: lo Stato più che mai in questo periodo ha il compito di creare le condizioni affinché l’economia privata possa svilupparsi, garantendo al contempo un’adeguata politica sociale. Ciò implica evidentemente un costo, soprattutto in un momento di crisi. Una crisi che rende inopportuni – e su questo convergono il capogruppo socialista Ivo Durisch e il presidente del Centro Fiorenzo Dadò – sia dei tagli alla spesa pubblica sia degli aumenti di imposte.
Quindi, come ci si comporta? Secondo i canoni ampiamente diffusi, uno Stato problematico dal punto di vista dell’indebitamento è quello che presenta un rapporto debito/Pil superiore al 60%. Il Ticino è ben lontano da un tale scenario. Molto più vicina a questo punto è l’ipotesi di una manovra di rientro che porterà altri dolori in un momento già difficile di suo. Sarebbe davvero un peccato. Basterebbe invece che la politica cantonale fosse disposta a infrangere il tabù dell’insopportabile leggerezza del debito pubblico.