Giunto a Lugano per potersi preparare al meglio alla Coppa del mondo, il 31enne Xherdan è ancora oggi insostituibile nella Nazionale rossocrociata
L’arrivo a Lugano di Xherdan Shaqiri sarà una buona notizia per i più giovani fra i tifosi bianconeri – che potranno andare a Cornaredo ad ammirarlo fare palleggi, torelli e tiri a giro – ma dubitiamo che sia un segnale positivo per il calcio svizzero. Il fatto che il miglior giocatore rossocrociato alla fine dello scorso inverno si sia trasferito in uno dei campionati meno prestigiosi al mondo – per quanto assai remunerativo – non depone infatti a favore del movimento del pallone nostrano. E ancor meno rassicurante è sapere che il ragazzo, in quella modesta lega, vesta la maglia di una delle compagini più scarse. Così debole da non essersi nemmeno qualificata per i playoff, costringendo quindi Shaqiri – per evitare di starsene inattivo oltre un mese nell’imminenza dei Mondiali – a cercare ospitalità presso un altro club, e a trovarla appunto nell’Fc Lugano, società appartenente allo stesso patron dei Chicago Fire, cioè la squadretta d’Oltreoceano dove milita il fantasista cresciuto ad Augst. Si presume che il più forte calciatore svizzero – e Shaqiri certamente lo è – debba giocare in un top club europeo, non in un campionato senza competitività come quello a stelle e strisce. E ci si aspetterebbe che, di questo artista del football ormai trentunenne, sbocci finalmente l’erede, o almeno un suo passabile sostituto in caso di necessità. Invece, purtroppo, alternative ancora non se ne vedono. E dunque, di nuovo, quasi tutte le speranze elvetiche in vista dei Mondiali, almeno per ciò che concerne il reparto offensivo, poggeranno sulle spalle palestrate di Xherdan, luganese a orologeria. Estroso ma pigro, geniale ma incostante, provocatore ma vittima, da almeno una dozzina d’anni Shaqiri suggerisce titoli e riempie le pagine dei giornali, facendo la fortuna dei cronisti ma provocando pure l’ingrossamento del fegato a tifosi, allenatori e compagni, che oltre alle sue prodezze hanno dovuto ogni tanto sorbirsi e sopportare indolenza, atteggiamenti censurabili, uscite fuori luogo. Insieme alla tripletta strepitosa contro l’Honduras che al Mondiale brasiliano regalò alla Svizzera la qualificazione agli ottavi di finale, ci tocca infatti ricordare – quattro anni più tardi, nella rassegna iridata disputata in Russia – un altro suo gol molto importante, macchiato però da un episodio che mise in imbarazzo l’intera Svizzera. Alla rete del 2-1 che suggellava il successo rossocrociato in rimonta sulla Serbia, fece infatti seguire – insieme a Xhaka e Lichtsteiner – un’esultanza polemica e politica che andava a toccare tasti assai delicati e riapriva ferite mai del tutto rimarginate. Alla magnifica rovesciata con cui all’Europeo 2016 firmava il pareggio contro la Polonia negli ottavi di finale – giustamente considerata fra i gol più belli dell’intera storia del torneo – affiancava purtroppo un rifiuto alla convocazione in Nazionale che qualcuno, ancora oggi, fatica a perdonargli. Al destino che gli ha permesso di vestire alcune fra le maglie più ambite d’Europa – Bayern, Inter, Liverpool e Lione – non è mai stato riconoscente fino in fondo, sprecando infinite occasioni, ritrovandosi molto più spesso in panchina che in campo e lasciando ben poche impronte sui pur numerosi trofei prestigiosi finiti nella sua bacheca. Inimitabile e, ancora oggi, imprescindibile Xherdan.