Con la mobilitazione parziale la guerra entra in casa di milioni di russi. Washington è convinta che il tempo giocherà contro il leader del Cremlino
Doveva pronunciarsi martedì sera a reti unificate. Misteriosamente il suo discorso è stato rinviato alla mattina del giorno seguente. Segno probabile di ore e discussioni concitate. Il rovescio bellico registrato a Kharkiv e il flop del vertice di Samarcanda con la pioggia di critiche di Cina, India e Turchia hanno messo l’autocrate alle corde.
Il volto affaticato, gli occhi torbidi, lo sguardo sobrio e vendicativo, Vladimir Putin ha smentito se stesso e 8 mesi di narrazione patriottica ("l’operazione militare speciale procede senza intoppi") richiamando 300mila riservisti (dai 20 ai 65 anni). Mobilitazione parziale insidiosa, perché porta la guerra nelle case di tante famiglie russe, che fino ad ora del conflitto non potevano neppure pronunciare il nome.
Annunciata dopo l’ammissione da parte del Cremlino di pesanti perdite, 6’000 soldati uccisi (in realtà sarebbero almeno tre volte tanti, oltre a 70-80mila feriti), la mossa si iscrive in quella che gli strateghi hanno battezzato "escalation dominance": mantenere sempre una mossa d’anticipo. Quella di Putin ha i contorni chiari della minaccia nucleare.
L’estorsione assume una dinamica sinistra quanto puerile: in fretta e furia, da domani fino a martedì, le autoproclamate repubbliche fantoccio di Donetsk, Zaporizhzhia, Lugansk e Kherson terranno un referendum sull’annessione alla Russia. Consultazione illegale dall’esito scontato, in un’area in cui si continua a combattere e da cui sono fuggite milioni di persone. Il referendum il Cremlino lo aveva previsto una volta "liberato completamente" il Donbass. Ma con la disfatta di Kharkiv la situazione è precipitata. Da mercoledì prossimo, l’Est dell’Ucraina sarà di riflesso considerato da Mosca territorio russo.
Qui sta tutta l’inquietante portata del discorso di Putin: "Useremo tutti i mezzi per difendere il nostro territorio". Dal cilindro delle menzogne e del malcelato sconforto, la bacchetta magica del presidente ribalta la storia: gli aggressori diventano gli aggrediti e oggi invocano la legittima difesa. Sul capo di tutti noi incombe oggi la minaccia di un conflitto mondiale. Con consumato coraggio, dalla sua cella Alexei Navalny paventa "un’enorme tragedia con una guerra criminale che si estenderà ulteriormente". Il dissidente interpreta senza ombra di dubbio inquietudini e paure sempre più diffuse.
L’"anschluss" e il ricatto atomico non scalfiscono tuttavia la volontà di riconquista del governo ucraino; Nato e Ue denunciano la retorica nucleare e vi è unanimità negli ambienti diplomatici nel considerare gli ultimi eventi un chiaro segnale di debolezza e disperazione. Che sia questa una buona notizia però è tutt’altra storia. Le parole della caporedattrice dell’organo di propaganda del Cremlino Russia Today non sono certamente rassicuranti: "Siamo o alla vigilia di una nostra vittoria o alla vigilia di una guerra nucleare". Tertium non datur.
Sul crinale del "neoimperialismo russo" (Emmanuel Macron) qualsiasi passo falso è gravido di conseguenze. Per questo all’Onu, Joe Biden mantiene toni moderati, chiede la "pace immediata". Ma le dichiarazioni di prammatica non sciolgono gli interrogativi. Cosa farà l’Occidente in caso di attacco nucleare? I russi si ribelleranno finalmente alla guerra fratricida? L’America – ci confida un ex alto esponente del Dipartimento di Stato – aveva già previsto il ricatto atomico. Washington è convinta che il tempo giocherà contro Putin: semina morte, dissangua il suo Paese. Si starebbe così scavando la fossa.