La decisione di non aspettare più le firme della mozione interna sulla conferenza cantonale mostra Riget e Sirica forti e convinti delle loro scelte
La decisione della direzione del Partito socialista di prendere in mano la situazione, anticipare la minoranza interna e raccogliere essa stessa le firme per convocare la conferenza cantonale in merito alla strategia da seguire per la lista rossoverde nella corsa al Consiglio di Stato, è un atto di responsabilità e di forza cui bisogna dare merito. Per due motivi.
Il primo mostra che, così facendo, Laura Riget e Fabrizio Sirica hanno in mano il partito e che, oltre alla volontà e alla convinzione di portare a compimento questo progetto di lista unica progressista, hanno anche la fiducia necessaria nel fatto che la base e gli iscritti sosterranno in maniera massiccia l’accordo raggiunto con i Verdi, vale a dire due posti a testa e un quinto da scegliere insieme nella società civile. Anche perché ha ragione chi sostiene che l’unica alternativa a questa strategia sia l’andare da soli, dal momento che i Verdi hanno chiarito più volte come con tre nomi Ps in lista – è questa la richiesta della mozione interna socialista – ogni discorso si fermerebbe, arrivederci e grazie.
Il secondo motivo, altrettanto importante, consiste nel fatto che una presidenza di partito non può e non deve sottostare né a dei diktat né a dei logoramenti interni, ma tenere le redini e difendere le proprie convinzioni in ogni momento democratico interno possibile. Di questa mozione si parla ormai dal 6 luglio. E gli scenari possibili, dietro il silenzio dei mozionanti, sono due: o in questi quasi due mesi non sono riusciti a raggiungere le 55 firme necessarie (un ventesimo degli iscritti, poca cosa) oppure le hanno raggiunte e il tentativo – prima della mossa della direzione – era quello di giocare col calendario per arrivare a convocare la conferenza cantonale il più vicino possibile al congresso. Logorando, si diceva, nomi, strategie e progetti portati avanti dalla direzione. O un eccesso di ambizione, o una mancanza di eleganza.
La politica ha le sue regole, la battaglia politica ne ha anche di poco cristalline. Nella storia del socialismo ticinese le frizioni sono state ben altre e di ben altra caratura e importanza. Ma era il 28 aprile del 2021 quando Sirica, commentando in comitato cantonale le elezioni comunali appena celebrate, disse testuale che "queste elezioni hanno dimostrato che dove i dirigenti non fanno le alleanze, alla fine le fanno gli elettori". L’unanimità con cui il parlamentino socialista a metà giugno ha dato il via libera alla trattativa con i Verdi conferma quanto avvenuto nell’area in questo ultimo anno, sia a livello parlamentare sia a livello di politica locale. A fronte della sicurezza del partito ecologista nel dire che se cambiano gli accordi salta tutto, pare avventato mettere a repentaglio l’alleanza con argomentazioni che non paiono così solide.
Sostenere, ad esempio, che il Ps debba avere tre posti su cinque perché al governo da 100 anni mostra un ancorarsi al passato che poco ha a che vedere con un nuovo progetto d’area che – lo sintetizza il documento della direzione del Ps – guarda al futuro e al medio-lungo termine. Se si è convinti dell’importanza di un seggio socialista in governo, quel seggio lo si conferma non dividendo ma unendo, andando con il proprio nome di punta in strada, alle bancarelle, nelle sezioni, comunicando la propria idea di società. Non con l’aritmetica e i due o tre seggi. E nemmeno con manovre interne – ed esterne – al partito che non rendono onore all’importanza della posta in gioco.