laR+ Commento

La Restaurazione dei Gelsomini

Il presidente Saïed ha messo fuori gioco tutti gli avversari politici e ha imposto una Costituzione che cancella la Rivoluzione del 2011

Il presidente tunisino Kais Saied (Keystone)
27 luglio 2022
|

La frittata di gelsomini è fatta. Ci sono voluti dodici anni e uno chef con abbastanza pelo sullo stomaco per rigirarla, ma la rivoluzione tunisina che aveva dato il "la" alla Primavera Araba è diventata - a tutti gli effetti - una restaurazione.

Non più Ben Ali (prima destituito e poi morto, nel 2019), padre padrone di una Tunisia che non c’è più, cucinata a fuoco lento nei suoi 24 anni al potere, ma Kaïs Saïed, il presidente che un anno fa ha preso tutto quel che restava della Rivoluzione dei gelsomini per farne un sol boccone. Abusando della propria posizione di forza dinnanzi al caos istituzionale, Saïed ha cancellato uno a uno i propri avversari, approfittando della rivolta popolare del 25 luglio 2021, anniversario della proclamazione della Repubblica. La gente, che era stufa della corruzione e dell’apatia del governo e del Parlamento, aspettava una mossa e un uomo a cui aggrapparsi. Saïed non ci pensò due volte: prima mise fuori gioco il governo, poi sospese i lavori del Parlamento, infine ostacolò la formazione della Corte Costituzionale, arrivando a mettere fuori gioco 57 giudici, tutti accusati di corruzione.


Supporter del presidente festeggiano la nuova Costituzione (Keystone)

In pratica si è messo a guidare il Paese come se fosse affar suo e solo suo, proprio come l’uomo che la Tunisia non voleva più, Ben Ali. Nel frattempo erano passati più di dieci anni dalla Rivoluzione dei gelsomini e otto dall’entrata in vigore della Costituzione figlia di quella rivolta: una Costituzione avanzata, che metteva per la prima volta e uomo e donna sullo stesso piano, e che veniva presa a modello dai riformatori di altri Paesi musulmani. Doveva essere la prima di tante, non è sopravvissuta nemmeno a se stessa.

La Costituzione studiata da Saïed mette tutti i poteri in mano al presidente, che può predisporre come vuole di governo e Parlamento, senza che dall’altra parte nulla possa controbilanciare il suo potere. Un sorta di sistema super-presidenziale, una dittatura mascherata per alcuni. Certo, c’è il limite dei due mandati, ma intanto Saïed ha spostato la palla più in là, e per di più ci sta giocando da solo. E si ha tutta l’impressione che chi vuol scendere in campo d’ora in poi debba stare alle sue regole.

Lo si è capito già dal referendum costituzionale, che non aveva un quorum e che nemmeno prevedeva come risultato finale un "no". Tutto era predisposto per arrivare a un voto, magari di pochi, ma favorevole: così è stato, con la maggioranza dei partiti che ha caldeggiato l’astensione (mossa autolesionista visto che non c’era un quorum), e Saïed che si è portato a casa la Tunisia come la voleva lui con solamente il 28% degli aventi diritto al voto alle urne.


Le parlamentari in festa dopo il via libera alla Costituzione del 2014 (Keystone)

A chi fa notare che però l’Islam è stato tolto dalla Costituzione come religione di Stato, va ricordato che questa mossa populista non è che una foglia di fico. La Tunisia infatti, esce dalla porta dell’Islam per rientrare dalla finestra. Sullo stesso documento c’è infatti scritto che la Tunisia rientra nell’Umma, la grande nazione islamica: un termine ambiguo, che inscrive il Paese dentro a una struttura ben più rigida, in cui tutto quel che si fa, lo si fa in nome dall’Islam. Non più l’Islam politico di Ennahda, ma quello più conservatore e meno illuminato.

Beffa delle beffe, non casuale (Saïed bada alle date), si andrà a votare per una nuova, vecchissima Tunisia, il prossimo 17 dicembre, lo stesso giorno in cui, nel 2010, l’ambulante Mohamed Bouazizi si diede fuoco per protesta, dando inizio alla Rivoluzione dei gelsomini.

Le proteste del 2011 contro Ben Ali (Keystone)