La retorica della destra è riuscita a fare breccia: il pareggio nei conti pubblici andrà raggiunto entro la fine del 2025
Che lo Stato si comporti come un buon padre di famiglia: in tempi di magra, stringa la cinghia. Risultati della votazione cantonale alla mano, si può dire che la retorica della destra ticinese sia riuscita a fare breccia. Così il ‘Decreto Morisoli’, che era stato precedentemente approvato da una risicata maggioranza del parlamento e che impone il pareggio di bilancio per le finanze pubbliche entro la fine del 2025, è stato accolto dalla popolazione con il 56,9% dei voti. Un risultato che non sorprende, a dire il vero, visti gli schieramenti alla vigilia della votazione: il decreto promosso dall’Udc era sostenuto a spada tratta anche da leghisti e liberali. Inoltre la base del Ppd, chiamata a svolgere il ruolo di ‘ago della bilancia’, sembra pure essersi schierata a favore del vincolo legislativo che costringe lo Stato a raggiungere l’equilibrio fiscale entro la fine del 2025, agendo prioritariamente sulla spesa, senza aumenti d’imposte e senza riversare oneri finanziari sui Comuni.
È probabile che sia stato il timore di un eventuale incremento della pressione impositiva (conseguenza paventata dalla destra qualora il decreto fosse stato bocciato, misura esclusa a priori dalla sinistra durante la campagna che ha preceduto il voto) a spingere il popolo ad approvare la legge che impone al Consiglio di Stato di dover trovare il modo di "frenare" la crescita della spesa pubblica nei prossimi tre anni, in modo tale che le uscite non superino più le entrate.
Il fatto è che ciò avviene e avverrà in un contesto che avrebbe invece richiesto un altro tipo di atteggiamento da parte della politica. Ora, grazie a questo "automatismo" il parlamento non farà altro che invalidare il suo ruolo: quello di poter proporre, valutare e decidere di volta in volta quale passo compiere per tutelare la qualità di vita della cittadinanza.
Il risultato della votazione va anche letto in prospettiva: con una riduzione dell’aliquota sull’utile delle persone giuridiche che entrerà in vigore a partire dal 2025 (guarda caso, lo stesso anno in cui dovrà essere raggiunto il pareggio nei conti pubblici) e un’ampia riforma della Legge tributaria in arrivo, il rischio è quello di assistere a uno scenario regressivo per quel che concerne la redistribuzione della ricchezza, in cui finiscano per convivere un minor carico fiscale per i più abbienti assieme a una diminuzione del sostegno finanziario per le fasce vulnerabili e a una perdita di agevolazioni per il ceto medio.
L’esito del referendum, d’altronde, va pure analizzato a livello politico: fino a quando l’ala radicale del Plr (esistono ancora i radicali?) sarà disposta a tollerare la deriva democentrista data dall’attuale presidenza? Quante volte ancora i "veri" leghisti accetteranno di buon grado di vendere la loro anima "sociale" al diavolo, pur di tenersi buono l’alleato democratico di centro a garanzia dei due seggi in governo? Quanto tempo potrà passare prima che l’Udc torni a bussare alle porte di via Monte Boglia reclamando ciò che, penserà, sia ormai un suo diritto? E come si riposizioneranno a questo punto la sinistra – che ieri non è riuscita a mobilitare la base – e il Ppd in vista delle Cantonali dell’anno prossimo, dopo essere stati sconfessati dal risultato emerso dalle urne?
Peccato che nessun decreto sia in grado d’imporre il pareggio tra domande e risposte.