Indipendentemente dall’esito del referendum del 15 maggio, prepariamoci a cambiamenti nell’offerta di video on demand
Un sì alla nuova legge sul cinema, il prossimo 15 maggio, non renderà la Svizzera una nuova Hollywood e neanche una nuova Cinecittà, d’altra parte neanche porterà a un impoverimento qualitativo dell’offerta dei servizi di streaming e a un aumento degli abbonamenti. Per carità, siamo abituati alle iperboli, prima delle votazioni popolari e tutto sommato i toni sono quasi moderati, per la cosiddetta Lex Netflix che vuole estendere agli operatori del video on demand le norme che riguardano le emittenti televisive: investire parte dei ricavi in produzioni svizzere e riservare una quota a film e serie tv europee. Che si tratti di una questione di parità di trattamento tra aziende che forniscono servizi simili o di una ingiustificata limitazione alla libertà d’impresa, di garantire al cinema svizzero le risorse necessarie a raccontare e rappresentare la nostra realtà o di imposizioni che ridurranno la nostra libertà di spettatori, lasciamo scegliere al lettore.
Quello che ci interessa, qui, è notare che le norme che ora si vogliono introdurre per lo streaming sono arrivate, per le tv, nel 2007: in quello stesso anno Netflix, una compagnia di noleggio di Dvd praticamente sconosciuta al di fuori degli Stati Uniti, iniziava a offrire ai propri abbonati la possibilità di guardare online qualche film. Comprensibile, che all’epoca non si pensasse allo streaming: il catalogo era limitato a un centinaio di titoli. Il servizio si è poi ampliato, è arrivato in altri Paesi e oggi, secondo i dati Digimonitor, il 40% degli svizzeri guarda Netflix almeno una volta a settimana.
Oggi si dibatte sulla nuova legge sul cinema che – con i soliti compromessi della politica – prende atto delle nuove abitudini mediatiche della popolazione e tuttavia, proprio mentre si discute di una legge che è stato naturale chiamare "Lex Netflix", l’azienda statunitense ha annunciato per la prima volta un calo nel numero globale di abbonamenti. Certo 200mila utenti in meno, su un totale di oltre 220 milioni, sono tutto sommato pochi, soprattutto se teniamo conto della crescita che c’è stata nella fase acuta della pandemia e che ben 700mila si sono persi con la sospensione del servizio in Russia decisa dopo l’invasione dell’Ucraina. Tuttavia l’azienda ha precisato che non pensa di recuperare questo calo, anzi: si attende altri 2 milioni di abbonamenti in meno. La concorrenza – negli Stati Uniti sono ormai decine i servizi di streaming – da una parte toglie abbonamenti, dall’altra fa aumentare i costi per i diritti di film e serie tv. Difficile pensare a un declino che porterà Netflix all’irrilevanza; quasi certo che il modello attuale (un obolo mensile per l’accesso illimitato a un catalogo sterminato) sarà sostituito da qualcos’altro. La stessa Netflix ha già annunciato che diversificherà maggiormente gli abbonamenti, introducendo se il caso della pubblicità, ma è solo una delle possibili strategie. Per noi spettatori il futuro sarà probabilmente più caotico, con offerte difficili da confrontare, ma speriamo anche capace di creare incentivi che portino a qualcosa di nuovo rispetto all’offerta che va per la maggiore nei servizi di streaming e che pare puntare, più che sull’originalità, sulla capacità di creare discussioni online.