Commento

Addio verità, addio democrazia

La deriva informativa in Russia era incominciata da tempo, ma si cercava di non farci caso. Ora tutte le testate dissenzienti sono state chiuse o sciolte

La mossa di Ovsyannikova in diretta tv
(Keystone)
17 marzo 2022
|

Addio alla verità, al dialogo, al libero confronto. Le guerre non lasciano mai loro scampo. La propaganda estremizza le ragioni, rilanciando le narrative più o meno accettabili dalle opinioni pubbliche interne, spesso utilizzando ben collaudate formule dialettiche o sicure simbologie.
È da otto anni, dal 2014, che a Est i "fratelli" slavi orientali litigano, per dirla con un eufemismo. Ed è da allora che fare qui i giornalisti è diventato ancora più difficile del solito, in un’area in cui da secoli si fronteggiano interessi contrastanti: da una parte quelli russo-ortodossi, dall’altra quelli polacco-cattolici e germanico-protestanti con in mezzo una terra, campo di battaglia. Il tentare di essere al di sopra delle parti (senza essere giudice), la ricerca continua delle fonti primarie evitando i tranelli dell’epoca dei social media, la volontà di essere autorevoli – studiando, approfondendo, dubitando di verità assolute – sono impegni e propositi che si vanno a scontrare oggi contro ondate gigantesche sollevate dalle propagande e dagli interessi di Stato. La narrativa ufficiale deve essere una e non può essere messa in dubbio. L’opinione pubblica è come una mandria di pecore e non va disturbata; il pastore ha scelto per loro la direzione verso l’ovile. Così chiunque non sia allineato diventa scomodo e rischia di essere travolto. Resta solo la mossa della disperazione come quella della giornalista Ovsyannikova che ha mostrato un cartello anti-guerra durante il tg serale.
Nell’arco di un paio di settimane in Russia tutte le testate radio-televisive-giornalistiche-virtuali dissenzienti sono state chiuse o sciolte. Oppure, per evitare guai, hanno scelto la strada dell’auto-sospensione nella speranza che, in un prossimo futuro, un raggio di sole all’improvviso buchi la tempesta.
La deriva informativa era incominciata da tempo, ma si cercava di non farci caso. La strada scelta dalle autorità è stata la solita: l’iperlegislazione su tematiche complicate, la definizione di regole – spesso astruse e anche assurde –, il disegno di iter burocratici impraticabili. A un certo punto è saltata pure fuori la legge sugli "agenti stranieri". La logica è elementare: se qualcuno asserisce certe cose non in linea vuol dire che è sul libro paga di qualche istituzione straniera, quindi non è indipendente. In sostanza, è in mala fede. Da qui quell’etichetta infamante e l’impossibilità, di fatto, di operare.
In autunno sapere che una collega della Bbc veniva espulsa per essere considerata una "minaccia alla sicurezza nazionale" ha fatto suonare l’allarme. Minaccia alla sicurezza nazionale? Una giornalista? Arrivata in Russia a 18 anni, Sarah Rainsford è stata messa alla porta, senza complimenti, dopo due decenni di lavoro (ieri Mosca ha perfino bloccato il sito internet della Bbc). Sono poi seguite la norma per il controllo medico degli stranieri ogni tre mesi; la direttiva – dopo il 24 febbraio – dell’utilizzo solo di fonti ufficiali russe e della corretta terminologia di "operazione militare speciale"; la non chiara legge sulle "fake news" con pene pesantissime.
Quali lezioni trarre da questi eventi? Principalmente due. La libertà di parola è ovunque perennemente in pericolo e va sempre difesa a oltranza. Il rispetto delle opinioni altrui, anche se in contrasto con le proprie, va garantita. Altrimenti, addio democrazia.

Leggi anche: