Commento

Il buono, lo struzzo, il cattivo

Il pacifismo è un obiettivo irrinunciabile, non un principio monolitico. Bisogna contestualizzare gli eventi e non farsi guidare da istinti e preconcetti

Il cartello “Stop Putin” davanti all’ambasciata russa a Mosca
3 marzo 2022
|

Se è vero che un pessimista non è altro che un ottimista ben informato, è altrettanto vero – almeno oggi, almeno davanti alle notizie che arrivano dall’Ucraina – che un interventista può essere un pacifista che ha visto, letto e soprattutto capito abbastanza da rendersi conto che ci sono momenti in cui non resta che sporcare i propri principi pur di salvarli.

La maggior parte di noi vive nella convinzione che la propria visione del mondo e i propri ideali debbano essere monoliti ficcati nelle nostre teste negli anni della formazione e non più modificabili né barattabili, pena una perdita di purezza che ci renderebbe sgraditi agli altri e a noi stessi. Così stiracchiamo le nostre certezze per preservare l’idea che abbiamo di noi, perché provocare uno scarto – anche minimo, anche momentaneo – potrebbe mettere in disequilibrio l’autonarrazione di una vita intera.

Eppure togliersi anche solo per una volta il paraocchi – che in democrazia, dove ci troviamo, è sempre autoimposto – sarebbe già qualcosa. Che poi quel che vediamo intorno non ci piaccia o non si voglia affrontarlo è un altro discorso.

Rifuggiamo dal pensiero laterale e dal pensiero debole scambiandoli per sintomi di stravaganza e fragilità, eppure il tempo del pensiero forte, delle certezze (la storia lineare, le religioni, il marxismo...), della verità coincidente con un dogma è finito. Ci può credere Putin, simbolo di un mondo autoritario e decadente che sta scomparendo e proprio per questo lotta disperatamente per sopravvivere; non dobbiamo crederci noi, che siamo cresciuti in un Occidente che ci spreme e ci stressa, ma ci dà ancora la libertà di pensare e poi scegliere.


Fiori sopra una bandiera con il simbolo dell’ucraina (Keystone)

Scambiare le sanzioni alla Russia da parte della Svizzera come un’abiura alla propria storica neutralità non è pensiero debole né laterale, anzi, non è proprio un pensiero, ma un riflesso pavloviano. La neutralità è un valore, e anche un ragionamento, non l’istinto di uno struzzo che per paura infila la testa sotto la sabbia.

Lo stesso discorso vale per le critiche ai Paesi europei che inviano armi all’Ucraina invasa. Se l’Ue è nata come grande esperimento pacifista (esperimento riuscito al suo interno, dove nessuno ha mai dichiarato guerra a nessuno), non vuol dire che non possa appoggiare una guerra difensiva proprio per affermare un principio: la guerra non si fa. Stare con l’aggredito e denunciare l’aggressore non è genuflessione dinnanzi alla Nato, è mettersi dalla parte giusta della Storia.

Riconoscere da che parte stare, anche se – potendo scegliere – non vorremmo stare da nessuna parte, è una coercizione e allo stesso tempo esercizio di libertà. Noi ne abbiamo talmente tanta e da tanto tempo da non saperla riconoscere; la vera cartina di tornasole sono le piazze strapiene e la straripante, inattesa solidarietà degli ex Paesi comunisti nei confronti degli ucraini. Luoghi che hanno vissuto i totalitarismi, visto i carri armati russi entrare nelle stesse piazze dove ora c’è la democrazia. Loro potevano scegliere, dopo il crollo dell’Urss, se stare attaccati alla gonnella di Madre Russia, correre da soli o prendere il treno della Nato. Chi ha potuto è salito. Chi non ha potuto (Georgia, Ucraina, Kosovo) lo farebbe di corsa. Ripudiare la guerra altrui solo perché la si osserva da lontano è miserando, oltre che adolescenziale.

E se Putin ci ha trascinati in un mondo adulto, casomai sbaglieremo da professionisti, come diceva Paolo Conte. Ma sporcarsi le mani e gli ideali è ormai inevitabile. Non è neanche la parte più difficile. Quella è guardarsi allo specchio e riconoscere ancora sé stessi e i propri principi, magari stropicciati per scelta propria e non calpestati per imposizione altrui.


Un cargo con armi francesi destinazione Romania e poi Ucraina (Keystone)