Nel vortice virtuale di una guerra tremendamente reale irrompono nelle nostre vite persone pronte a svestire i comodi panni di uomini e donne qualunque
C’è la donna che avvicina il soldato russo, chiedendogli che cosa stia facendo lì, nella sua città, armato. E gli vuole regalare dei semi di girasole, affinché nascano fiori quando lui morirà. C’è l’automobilista che affianca il blindato russo rimasto senza gasolio e si offre di trainarlo, ironicamente, fino al confine. E il contadino che lo ruba col trattore, un carro armato. Ci sono il tennista, il pugile e la ex miss, pronti ad abbandonare una condizione di privilegio, per rientrare o restare a casa, e combattere. Ci sono i doganieri dell’Isola dei serpenti, pronti a mandare "a farsi fottere" la nave da guerra che minaccia di bombardarli. E ci sono loro, le migliaia di volontari, e i giovani senza nome e senza volto, chiamati a mettere da parte libri di scuola e social e videogiochi, per imbracciare un mitra.
Nel vortice virtuale di una guerra tremendamente reale, piovuta dal Novecento a scardinare le fragili certezze del nuovo millennio, irrompono nelle nostre vite immagini, video, frammenti delle vite di persone pronte a svestire i comodi panni di uomini e donne qualunque, per indossare quelli dell’eroe. Più o meno attendibili che siano, queste schegge di orgoglio, collettivo o individuale, hanno il potere di interrogarci nel profondo; tanto più giungendo a noi da un mondo neanche tanto distante o diverso dal nostro, che il suo passato lungamente tragico credeva forse di averlo seppellito per sempre con il "secolo breve". Nella memoria di un ventenne ucraino quali tracce restano dell’invasione nazista e del giogo sovietico, dei rigidi paradigmi novecenteschi nella sua quotidianità iperconnessa, spesso verosimilmente futile, vacua, liquida e viziata come il presente di ognuno di noi? Su quale repertorio di certezze, su quale bacino di valori e verità incontrovertibili fare affidamento, non solo per resistere alla notte della Storia, ma per affrontarla, percorrerla, illuminarla?
Questi eroi per caso, imprevedibilmente catapultati fuori dalla loro più o meno placida esistenza, possono porci di fronte al nostro personale specchio del dubbio o della verità, opaco o deformante che sia. Quali sacrifici sapremmo sostenere, quali rischi saremmo pronti a correre qualora la Storia o la nostra quotidianità ponessero noi di fronte a un bivio? Per quali valori, indiscutibili e inalienabili?
Qualche giorno fa, sul Corriere della Sera, Aldo Cazzullo scriveva che noi, la guerra, non sappiamo nemmeno più concepirla. E non è detto, aggiungiamo, che sia indizio di un bene. Nei manuali di sceneggiatura, alla base dei film che solitamente avvincono il pubblico, si legge che la verità sul personaggio emerge solo quando questo viene messo "sotto stress"; è quello il momento in cui inizia lo spettacolo, comico, tragico o eroico che sia. Eppure, non è detto che servano un’invasione aliena o un Putin atomico per indurre ognuno di noi a chiedersi che cosa sia ancora capace di volere, di difendere o di rifiutare fortemente.
Non sappiamo che cosa sognino, se sognano o desiderano qualcosa, la donna con i semi di girasole o i doganieri pronti a "pisciare sugli stivali" agli ufficiali di Putin. Nel nostro tempo in apparenza iper-informato, non sappiamo nemmeno se siano ancora vivi. Di certo, però, come il Montale di un secolo fa, a cavallo fra due guerre, possono dirci "ciò che non sono, ciò che non vogliono". A volte,
La storia, collettiva o individuale, s’inizia a fare con un "no", magari con un fiore ancora non nato.