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Il Covid, un incubo ricorrente

Già l’anno scorso speravamo di buttarci alle spalle la pandemia. Invece siamo ancora alle prese con varianti e restrizioni, eppure un terzo non si vaccina

(Keystone)
10 gennaio 2022
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Noi esseri umani siamo probabilmente la specie vivente che meglio si adatta ai cambiamenti sociali e ambientali anche improvvisi. Abbiamo la capacità di trasformare una situazione apparentemente unica ed eccezionale in una condizione normale. Gli ultimi due anni sono lì a provarlo, tanto che il 2019, l’ultimo pre-pandemia, ci suona quasi come mitico e lontanissimo nel tempo. Come comunità tutta, tranne una parte che pur essendo rumorosa resta pur sempre minoritaria, abbiamo accettato le regole sociali e igieniche per prevenire la diffusione di un virus. Pensiamo all’utilizzo delle mascherine o al fatto di dover mostrare il nostro telefonino (varianti del virus permettendo) quale strumento di via libera sanitaria per continuare ad avere una vita sociale più o meno normale o ai saluti piuttosto imbarazzati quando incontriamo qualcuno che non vediamo da tempo. Pugnetti, gomiti che si sfiorano, mani ritratte e timidi sorrisi fanno parte della nostra quotidianità.

Meno di due anni fa siamo rimasti disorientati di fronte al primissimo lockdown. Di punto in bianco le attività economiche e sociali sono state ridotte ai minimi termini, tanto da far temere un tracollo economico quasi da periodo bellico. Per noi, in Ticino e in Svizzera, erano situazioni inimmaginabili. Eppure si sono trovati modi alternativi per mantenere attivi i cicli di produzione e di consumo anche in quei frangenti. Anzi, proprio in quel momento si sono poste le basi per un balzo tecnologico già da tempo in fieri, ma ora certamente irreversibile. Telelavoro e didattica a distanza, teorizzati da anni, hanno conosciuto nella loro diffusione un salto in avanti di almeno un decennio. Per non parlare del commercio elettronico, che è letteralmente esploso per la gioia di spedizionieri e piattaforme web.

L’anno appena concluso era però iniziato con la speranza di buttarci alle spalle l’incubo Covid. I vaccini erano considerati la via d’uscita veloce per un ritorno sia alla normalità sociale, sia a quella economica. Di fatto la ripresa del Pil in tutto il mondo occidentale è stata più rapida del previsto ed è andata di pari passo con l’aumento del tasso di vaccinazione. E questo fino alla comparsa della variante Delta del virus Sars-CoV-2, a cui si è aggiunta la Delta plus britannica, poi soppiantate negli ultimi mesi dalla Omicron sudafricana. Oltre a premere sui sistemi sanitari, le mutazioni del virus incidono sul morale delle persone, gettano un’incognita sul futuro e rischiano di far crescere la sfiducia nelle autorità sanitarie e politiche. Mal si accettano le misure restrittive, certo più blande dei confinamenti sperimentati solo un anno fa, nei confronti di tutti e l’invito insistente a sottoporsi al booster o terza dose che dir si voglia quando all’appello con la prima iniezione manca quasi un terzo della popolazione. Sarebbe forse più chiaro e comprensibile decretare l’obbligo vaccinale, almeno per determinate categorie sociali e professionali, che appellarsi continuamente alla abusata responsabilità individuale. La legge federale sulle epidemie teoricamente lo permette sia a livello nazionale, sia cantonale. Alcuni servizi essenziali come sicurezza, sanità, trasporti pubblici e scuola dovrebbero essere garantiti senza se e senza ma. Sembra però difficile, da un punto di vista politico, obbligare una parte minima della popolazione a porgere il braccio al vaccinatore di turno.