Commento

Cristo si è fermato a Swiebodzin

La cattolicissima Polonia si vanta della sua enorme statua del Cristo Re, ma sui migranti si dimentica dei suoi insegnamenti, come l’Ue e la Svizzera

Migranti si scaldano al confine tra Polonia e Bielorussia (Keystone)
11 novembre 2021
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A Swiebodzin, nella cattolicissima Polonia, c’è la statua del Cristo Re più alta d’Europa. Ma i fedeli polacchi, che hanno contribuito alla sua realizzazione con 1 milione e mezzo di euro, dicono che è la più alta del mondo, ridefinendo il confine – sempre molto labile – tra miracolo, bugia e autoinganno, visto che la statua è alta 36 metri, il Cristo Redentore di Rio è alto 38 e in Indonesia ce n’è una alta quaranta. Per guadagnare qualche metro contano anche la collinetta su cui poggia la statua, ricordando le tragicomiche misurazioni nella commedia con Hugh Grant “L’uomo che salì sulla collina e scese dalla montagna”: nel film, ambientato nel 1917, un intero villaggio gallese si dannava perché, per poco, la loro cima non misurava i 1’000 piedi che l’avrebbero resa una montagna.

Nel giorno dell’inaugurazione della statua di Swiebodzin, il 6 novembre 2010, il sacerdote Sylwester Zawadzki aveva dichiarato che era il giorno più bello della sua vita “perché, da sempre, i suoi sogni erano diventare prete e costruire la statua”.

Da qualche giorno la cattolicissima Polonia sta respingendo 4mila migranti assiepati nella terra di nessuno che la unisce e la divide dalla Bielorussia, ridefinendo il confine – sempre più labile – tra bugia, nazionalismo, menefreghismo e carità cristiana e il concetto stesso di confine. È la stessa Polonia che zittisce i giornali non allineati, vota leggi liberticide e che dall’Europa prende fondi per riempire fondine e alzare muri. Lei che dietro a un muro era finita e che l’Europa ha accolto, per amore sì, ma del mercato.


Il Cristo Re di Swiebodzin (Keystone)

Lo scorso weekend un gruppo di civili armati ha formato un commando per pattugliare la frontiera, come se dall’altra parte ci fosse l’Armata Rossa. C’erano famiglie di disperati, persone per cui non sembra esserci posto in una nazione con 38 milioni di abitanti. Certo, Giovanni Paolo II, figlio della cattolicissima Polonia, tra le tante cose che ha detto – e spesso si contraddicono (vale per noi e pure per i papi) – ha detto anche questo: “Bisogna esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione delle esigenze del bene comune. L’accoglienza deve realizzarsi nel rispetto delle leggi e salvaguardare il patrimonio culturale proprio di ogni nazione”. Messa così sembra un discorso di Orbán.

Eppure era lo stesso Papa che, quando parlava dei polacchi intrappolati dietro la Cortina di ferro, diceva “non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici... non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo Lui lo sa!”. Ecco, magari non solo Lui, di sicuro non il governo polacco né l’Unione europea, che riceve premi Nobel e consegna premi Sacharov, pulendosi la coscienza come quei mafiosi che usano il confessionale come una lavanderia per sciacquarsi via il sangue dall’anima.

L’Europa, per quel che rappresenta, ha il dovere di risolvere questa crisi umanitaria. Così come la Svizzera, che invece nega la naturalizzazione a un capoverdiano per un parabrezza sbrinato male e finora ha detto sì a tre richieste di asilo politico sulle quasi ottomila arrivate dall’Afghanistan. Evidentemente, questa volta Cristo si è fermato a Swiebodzin, a contemplare una statua con una corona d’oro che gli somiglia poco e una cattolicissima Polonia che non gli somiglia per niente.


Le forze di polizia polacche dietro al filo spinato (Keystone)