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Il Nicaragua, Daniel Ortega e la grande farsa

Avversari imprigionati e vittoria scontata per l’ex leader sandinista che un tempo riaccese la speranza di un Paese piu democratico e giusto

Una donna mostra il volto di Ortega con la scritta “assassino” (Keystone)

Il Nicaragua è un piccolo Paese ininfluente nel contesto internazionale. Se le elezioni svoltesi ieri (di cui, mentre scriviamo, possiamo dar per certo l’esito) suscitano tanto clamore e scandalo non è certamente per il suo peso specifico. A dare visibilità alla grande farsa elettorale, è la forte carica simbolica che ha assunto il movimento sandinista a partire dagli anni 70 del secolo scorso nella lotta contro una delle tante dittature foraggiate da Washington, quella che ha visto al potere a Managua per 40 anni i satrapi della famiglia Somoza.

Il trionfo dei guerriglieri nel 1979 non poteva non far correre il pensiero a quello mitico dei barbudos cubani ottenuta 20 anni prima contro un altro famigerato “caudillo”, Fulgencio Batista. La vittoria di chi si richiamava agli ideali di Augusto Sandino, l’eroe patriota assassinato nel 1934, sembrava dover aprire la strada allo Stato di diritto, alla riforma agraria, alla giustizia, alla sanità per tutti. Il Nicaragua era così assurto a simbolo della rivalsa dei diseredati contro i soprusi dei latifondisti, e dei padroni del potere autocratico. Emblema della sinistra terzomondista, spina nel fianco del gigante americano che nel suo giardino di casa latinoamericano tentava di soffocare con i mezzi più spietati le ribellioni democratiche.


Ortega con la moglie Rosario Murillo (Keystone)

Oggi, con un grottesco quanto non così raro paradosso della storia, l’ex capo guerrigliero Daniel Ortega veste gli abiti del dittatore. Sarà rieletto per la quarta volta consecutiva, dopo aver fatto arrestare tutti i suoi principali oppositori: giornalisti, imprenditori, ex compagni nonché tutti i sette principali candidati dell’opposizione, tra cui la favorita Cristina Chamorro, figlia di Violeta Barrios de Chamorro, eletta presidente nel 1990. Ortega, che compirà fra qualche giorno 76 anni, non avrebbe avuto nessuna chance di farcela, ma la repressione e la legge liberticida che ha spedito dietro alle sbarre centinaia di avversari e in esilio oltre 100mila nicaraguensi, farà rimanere nel palazzo presidenziale ancora a lungo l’autocrate in compagnia della moglie, Rosario Murillo, “chamuca”, la strega come l’hanno battezzata gli avversari. La vicepresidente e portavoce del regime, seguace di correnti cristiane esoteriche, cerca quotidianamente all’ora del pranzo di imbonire la popolazione a colpi di programmi radio-televisivi in cui commenta i Salmi biblici con toni non proprio metafisici: “Con la fuerza del amor de Dios venceremos compañeros: nuestro comandante Daniel nos abraza a todos y todas”. La “poetessa” si era schierata con il marito quando la figlia lo aveva accusato di stupro, prima di giustificare il massacro di 330 manifestanti tre anni fa.

Rosario Murillo è l’alter ego di un dittatore senile e spento, con il quale forma una patetica coppia di autocrati che ci ricorda quanto alto sia il rischio che le rivoluzioni democratiche possano insabbiarsi e sfociare in nuove dittature. Alle elezioni non ha assistito nessun osservatore internazionale: presenti invece al circo elettorale inscenato dalla “dittatura Ortega”, come segnala il New York Times, compagni dei partiti comunisti spagnolo, cileno o argentino per “osservare e apprezzare” (sic) il processo elettorale. Si consuma così, con una mesta burla, il definitivo tramonto di quel sogno di democrazia e libertà che aveva ammantato per anni con grandi speranze quel piccolo Paese d’America Latina.


Magliette in vendita con la coppia presidenziale (Keystone)