Batosta elettorale per il leader della Lega, a cui non viene perdonato più nulla. Eppure fino all’estate del 2019 sembrava inarrestabile
Tutta la destra complottista italiana passa un sacco di tempo a indagare su cosa ci sia dentro ai vaccini, dietro a Big Pharma, attorno a Bill Gates, sopra a Mario Draghi, sotto la politica del Green Pass e nemmeno uno che si sia preso la briga di controllare il mistero più misterioso di tutti: e cioè cosa diavolo contenesse il mojito del Papeete, quello che Matteo Salvini ha tracannato due estati fa pensando di brindare in anticipo alla sua scalata a presidente del Consiglio, rivelatosi invece una specie di indigesta pozione magica al contrario.
All’epoca volava nei sondaggi, appariva in tv praticamente a reti unificate, commentava gli sbarchi, i fondi europei e il Milan, rischiando di confondere Gigi Donnarumma con Carola Rackete, era contemporaneamente a Lampedusa, a Roma, a Milano, a Bibbiano, in discoteca, in fabbrica e in chiesa, tutto talmente a rotta di collo che rischiava di presentarsi con la chiave inglese in pista, il crocifisso in catena di montaggio e il long drink al confessionale. Calpestava avversari politici, irrideva i nemici e quando non ne trovava li inventava, bastava mandare avanti la sua macchina del fango social - la Bestia di Luca Morisi - a rovistare nelle pagine delle cronache locali, lì un povero cristo col passaporto sbagliato beccato a rubare polli si trova sempre. Poi, parlava, col megafono o dal citofono importava poco e cambiava niente: un trionfo.
Salvini a Cernobbio con il pollice in su (Facebook)
Gli altri inseguivano senza capire, arrancavano: potevano dire insensatezze o genialate, attaccarlo o copiarlo, lui sembrava invulnerabile. C’è stato un momento in cui Salvini, come certi scrittori e cantautori osannati acriticamente ma senza più un briciolo di genio, avrebbe potuto fare o dire qualsiasi cosa, declamare Shakespeare in dialetto o rotolarsi nel fango in diretta tv: funzionava.
Il mojito è stato il suo spartiacque, il suo tuffo di Obelix nel calderone di Panoramix: da quel momento non si torna indietro.
Nell’agosto del 2019 si presenta a Pescara chiedendo di essere eletto per salvare il Paese. Si era fatto i conti, non si sa dopo quanti mojiti, e si era convinto di arrivare ad avere la maggioranza in Parlamento senza aver bisogno di nessuno, se non degli alleati più a destra di lui. Il giorno della sfiducia in Parlamento lo sbranarono tutti, Conte lo mise a posto come fa il maestro con l’asino della classe, che incassa e si limita a fare le facce buffe.
Conte vs Salvini il giorno della sfiducia in Parlamento (Keystone)
Nasce un nuovo governo M5S-Pd, senza la Lega. Stare all’opposizione poteva essere il jolly nelle sue mani che gli permetteva di criticare un esecutivo certo non solidissimo. Ma è arrivata la pandemia che ha messo al centro urgenze che hanno oscurato i suoi cavalli di battaglia: spariti i migranti, sparito il tema tasse, soppiantato dagli aiuti economici, sparito lui. Quando il governo Conte vacilla, Salvini si frega le mani, ma fregano lui.
Arriva - a sorpresa - Draghi: non un supereroe (anche se tanti hanno provato a descriverlo così), di sicuro, però, ha una corazza tale che tutte le frecce scoccate da Salvini sono tornate indietro come boomerang. Il leader della Lega, pur di rimanere a galla si allea con l’area no vax-no pass, una minoranza rumorosa, coesa, ma capace di allontanare l’elettorato moderato. Infine vede il suo mago dei social finire dentro a un’inchiesta per droga. Sbanda, sbaglia tempi, temi, modi, candidati. Straperde le elezioni.
Gli effetti del mojito a lungo termine.
Il leader della Lega on la maglia Salvini Premier (Keystone)