Commento

Morisi e la droga dell’insulto social

L’uomo che ha ideato la macchina del fango di Matteo Salvini cade per una storia di droga. E i social, che cavalcava come nessuno, non lo perdonano

Luca Morisi e Matteo Salvini (Facebook)
28 settembre 2021
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Dante li faceva tagliare con una spada da un diavolo. Questo, nella Divina Commedia, era il destino dei seminatori di discordia, occupanti – loro malgrado – della IX bolgia dell’Inferno. In vita dividevano e per questo venivano letteralmente divisi. È la Legge del contrappasso, dove colpa e pena si somigliano e si confondono.

I secoli passano, ma il contrappasso – come la Divina Commedia – resta, cambiando forma e luoghi: nella bolgia dei social network, sono partiti (e non sono ancora finiti) insulti e sfottò per Luca Morisi: l’uomo che per anni ha offeso, deriso e irriso tutto pur di portare consensi all’uomo per cui lavorava, il leader della Lega Matteo Salvini. Fino a ieri non molti conoscevano il suo nome, pochi conoscevano il suo volto, eppure tutti ormai conoscevamo il suo modo di comunicare, paragonabile a un carro armato o meglio ancora a una di quelle auto blindate che nei film d’azione percorrono strade pericolose e trafficate a tutta velocità, travolgendo ogni cosa.

Morisi ampliava, distorceva, modificava i fatti e la realtà adattandoli alle esigenze del suo ingombrante committente: se c’era da guadagnarci mentendo su un avversario politico o sull’ultimo dei poveri cristi, si faceva. Se c’era da ingigantire un dettaglio o nascondere un elefante dietro a un dito, si faceva. E pazienza se il dettaglio era irrilevante o se l’elefante si vedeva lo stesso.


Un post Facebook di Morisi in cui Salvini imbraccia un mitra (Keystone)

Quando le cose erano più complicate e allo stesso tempo più semplici questo metodo si chiamava “macchina del fango”. Per lui non bastava più, e alla sua macchina e al suo fango hanno dato un nome preciso, come si fa con tutto quel che produce uno scarto, una differenza, nel bene e nel male: la macchina a tutta velocità guidata sui social da Morisi si chiamava la Bestia. Alternava placidi gattini e aggressioni verbali, serviva all’occorrenza rustiche colazioni alla Nutella o perfidi pasti avvelenati dal colore simile, ma di tutt’altro gusto. Nel tritacarne di Salvini e Morisi sono finiti presidenti della Camera e piccoli spacciatori di quartiere, calciatori e cooperanti rapite, cantanti e ragazzi ammazzati di botte dalle forze dell’ordine. La Bestia, in quanto tale, era onnivora. Non pasteggiava, grufolava. E quel che rigurgitava lo serviva sul carrello dei media. Funzionava. Crescevano i follower e la popolarità di Salvini, crescevano i voti della Lega.

Nei messaggi rilanciati sui social da Morisi, i ragazzi – preferibilmente stranieri – “spacciavano” droga, inchiodati a pene che la giustizia non prevede, ad allusioni che il buongusto non concede. Ora che è lui quello indagato per spaccio di droga, la droga veniva meno volgarmente “ceduta”, perché un social media manager in giacca e camicia al massimo cede, non spaccia. La lezione sta tutta lì, gli “amici” – come Salvini ha subito definito Morisi – sbagliano e vivono momenti bui, i nemici il buio lo portano dentro e se sbagliano una volta sbagliano per sempre.

I migliaia di messaggi social che ritirano fuori quella volta in cui un tronfio Salvini – a favore di telecamera – citofonò alla famiglia di un giovane finito nei guai con la droga sono la legge del contrappasso. Prego digerire i colpi bassi altrui, senza poter rispondere, stavolta. Piccole, meschine rivincite e un retrogusto amaro, inevitabile dopo aver ingurgitato tante schifezze per anni. Morisi ha talmente fatto bene il suo lavoro da aver abbassato il livello di tutto e tutti, anche di chi odiava il suo odio.


Morisi in primo piano con Salvini (Twitter)