L'uscita Usa dall’Afghanistan costringe i giocatori del risiko geopolitico a trovare nuovi equilibri. Lo scenario peggiore è dietro l’angolo
Tragico risveglio nell’incubo afghano. I giocatori del grande Risiko asiatico hanno scoperto di avere degli ospiti indesiderati – i terroristi – che hanno intenzione di organizzare una partita diversa e che porta il nome di jihad globale.
Nel 2001, come si ricorderà, George W. Bush lanciò l’invasione dell’Afghanistan in chiave antiterrorista per radere al suolo le basi da cui erano partiti gli attentatori delle Torri Gemelle. In precedenza, nel 1998, erano stati i Servizi russi a dare a Washington le coordinate dei rifugi nel Paese asiatico dei criminali che avevano distrutto le ambasciate Usa in Africa orientale.
Adesso, dopo la carneficina all’aeroporto di Kabul, ci risiamo. “Quando in geopolitica si crea un vuoto – dicono gli studiosi – questo viene subito colmato”. Di solito dagli Stati, ma nel caso afghano anche dall’Internazionale del terrore.
Non è, però, una novità: era già successo anni fa, con lo Stato Islamico insediatosi su territori remoti a cavallo tra Siria e Iraq dopo il collasso degli Stati a Damasco e a Baghdad.
I colloqui di Roma del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov sono la definitiva presa di coscienza che lo scenario peggiore, post-ritiro occidentale, è dietro l’angolo. Non ci si fa più illusioni. Il G20 straordinario a guida italiana sancirà la convergenza tra i principali partecipanti al Grande Gioco, tra democrazie e autocrazie. Altrimenti saranno guai per tutti. Dall’Afghanistan il terrorismo verrà esportato all’estero: a parte il massacro delle Torri Gemelle, il passato in Asia centrale ex sovietica, in Caucaso e in giro per il mondo ne è drammatica testimonianza.
Il ritiro americano era, in origine, anche un regalo avvelenato di Joe Biden a Russia e Cina, che hanno interessi rilevanti nella regione. Gli occidentali erano stanchi di togliere le castagne dal fuoco a partner diventati ostili su altri scenari. Ora, invece, toccherà comunque trovare un’intesa: i talebani appaiono deboli per controllare l’intero Afghanistan e i 300mila governativi filo-occidentali, addestrati dalla Nato per due decenni, si sono sciolti come neve al sole; i terroristi mirano a provocare una guerra civile, con tutte le conseguenze possibili, e grazie all’anarchia prendere possesso di intere regioni. Non sarà, però, facile mettersi d’accordo: oggi non esiste più l’asse Russia-Occidente come negli anni Novanta, garante dell’intervento Nato nel 2001, e le buone relazioni Cina-Stati Uniti sono un ricordo. Troppe sono ora la diffidenza, la rivalità, l’inimicizia.
Urge, in ultimo, evidenziare ulteriori elementi, importanti per il futuro. Il primo: chi ha dato i soldi ai talebani per comprarsi i capivillaggio e i Signori della guerra? “In Afghanistan – ci raccontava l’influente esperto militare russo Viktor Litovkin –, non si combatte, si comprano i capi”. Il secondo punto è che 80mila talebani vorrebbero adesso controllare un Paese popolato da 50 milioni di persone. A Kabul – città da 5 milioni di abitanti – sono entrati 6mila studenti coranici; 1’500 di loro sono all’aeroporto. Il terzo: il caotico ritiro occidentale da Kabul è una catastrofe. È un colpo al cuore a quanti, oppressi dalle tirannie, guardavano con speranza al nostro mondo. E i dittatori ora alzeranno la posta quando si scontreranno con le democrazie.