Commento

Lugano orfana di Borradori, una città sospesa nel vuoto

Borradori ha rappresentato meglio di chiunque altro l’anima 'bipolare' della Lega. La sua scomparsa lascia la città in una situazione assai delicata

Marco Borradori, 1959-2021 (Ti-Press)
12 agosto 2021
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“Le confesso che anch’io sono un ammiratore di Piazzolla”. Con queste parole si presentò Marco Borradori in quello che è stato il nostro unico scambio vis-à-vis. Eravamo al padiglione Conza, il sindaco uscente si era appena confrontato con gli aspiranti municipali Filippo Lombardi e Karin Valenzano Rossi. Ma forse ‘confrontarsi’ non è il verbo giusto: Borradori gestì quel dibattito dall’inizio alla fine. E più che un dibattito finì per essere una chiacchierata, durante la quale il sindaco riuscì elegantemente a sottrarsi a ogni polemica.
“Capiterà spesso, sono sicuro, che ci troveremo su diverse lunghezze d’onda. Ma per me l’importante è che il canale del dialogo resti aperto”, mi disse Borradori prima di congedarsi per salire a bordo della sua Smart. Non aveva tutti i torti, anzi. Ci furono le elezioni e la sua riconferma. E ci fu questo inizio di legislatura non esente da polemiche, che ci portò negli ultimi tempi a criticare anche duramente l’operato del Municipio di Lugano.
L’elefante nella stanza è stato per mesi quanto avvenuto all’ex Macello. Se lo ricordo non è per dare la stura a inutili recriminazioni – ora non avrebbe alcun senso –, ma per sottolineare che anche in quei momenti, seppur nella confusione generale, il sindaco provò comunque a mantenere un difficilissimo equilibrio: quello tra la veemente difesa delle sue posizioni e il rispetto di quelle altrui. “Un uomo dialogante, ma tenace”, lo ricorda il presidente del governo Manuele Bertoli. “Il poliziotto buono” per Norman Gobbi, che evocherà quei primi tempi passati assieme in Consiglio di Stato in cui l’attuale direttore del Dipartimento delle istituzioni faceva la parte del “poliziotto cattivo”. Un gioco di ruolo del quale i due consiglieri di Stato della Lega ridevano volentieri.
Sarà stata una finzione anche quell’immagine da ‘leghista gentile’ che molti in queste ore continuano a ricordare? Non credo. L’impressione ricavata da quel breve e unico incontro mi porta a pensare che in Borradori ci fosse davvero un tratto distintivo che lo allontanava dallo stereotipo del leghista inferocito. E lui sapeva di possedere quella caratteristica. Un “dono” che lo ha aiutato, riconosce Gobbi, a entrare in governo nel 1995 e a restarci per ben diciotto anni.
È probabile che Borradori abbia rappresentato meglio di chiunque altro l’anima “bipolare” della Lega. Ha saputo prendere le dovute distanze dalle forme più irascibili – incarnate da Giuliano Bignasca e molti altri – per sfruttare quel suo volto ‘buono’ e così difendere idee e valori tanto cari al movimento di via Monte Boglia.
Borradori lascia Lugano orfana dal suo sindaco in un momento assai delicato: vi è in corso l’inchiesta penale condotta dal procuratore generale Andrea Pagani, chiamato a fare chiarezza sui fatti avvenuti nella notte del 29 maggio all’ex Macello. Vi è poi all’orizzonte il temuto referendum sul Polo sportivo e degli eventi. Un progetto al quale il sindaco di Lugano teneva molto. “Siamo una città sospesa nel vuoto”, ammetteva ieri Michele Foletti, il vicesindaco chiamato ora a prendere le redini del Municipio.
Oggi Lugano e il Ticino tutto meritano di salutare Marco Borradori con la maggior serenità possibile e con il logico dolore che accompagna la scomparsa di un uomo che ha contraddistinto la vita di questo Cantone negli ultimi trent’anni. Ma è innegabile: i tempi della politica sono tiranni. Borradori lo sapeva meglio di tutti.