Tokyo 2021

Stahl: ‘A ciascuno la propria responsabilità individuale’

Propositi e auspici del presidente di Swiss Olympic alle porte dei Giochi di Tokyo. ‘Lo sport è in grado di costruire dei ponti’

Presidente di Swiss Olympic, Jürg Stahl si definisce uno della "generazione Russi”, con riferimento ai Giochi di Sapporo del 1972 che tante soddisfazioni regalarono ai colori rossocrociati. «Avevo 4 anni, all'epoca - ricorda il dirigente -. Il Giappone porta bene. Tempo fa lessi un articolo sui Giochi del 1964, sempre giapponesi, a Tokyo. La Svizzera di dressage vinse l’argento nel concorso a squadre. Il suo volo durò 60 ore con cinque scali, ma ne valse la pena. Abbiamo diversi punti in comune, con i giapponesi: penso all'innovazione, in ambito tecnologico, ma anche a una certa introversione, in quello più strettamente umano, Ci sono buoni presupposti, quindi».

Cosa si aspetta, concretamente, dalla delegazione elvetica?

«La speranza più grande è che tutti facciano ritorno a casa in salute, ma anche che i nostri atleti vincano tante medaglie. Lo sport è stato messo a dura prova dalla pandemia, in Svizzera anche per una questione etica. Ecco perché ritengo che sia importare fornire delle risposte sul campo, restituire qualcosa ai tifosi e alle famiglie che restano a casa, fare vibrare ovunque lo spirito olimpico».

Sul piano sportivo quali obiettivi si prefigge?

«I presupposti per ripetere gli ottimi risultati dei Giochi di Rio ci sono tutte: cinque anni fa conquistammo sette medaglie in sei discipline, un traguardo alla portata. In ogni disciplina in cui è impegnato un atleta rossocrociato abbiamo almeno una speranza di medaglia. Federazioni e associazioni svolgono un lavoro eccellente, come attestato dalla recente pubblicazione del rapporto sullo sport di competizione. Il successo è possibile solo se funzione bene la sinergia tra sport per tutti, formazione e sport d’élite».

Dopo tanti mesi molto complicati, l’accento è tornato sullo sport, benché in Giappone l’emergenza sanitaria sia tutto fuorché rientrata.

«Dopo l'iniziale shock all’inizio della pandemia, le prime chiusure della scorsa estate e la nuova crisi scoppiata in autunno, lo sport di alto livello ha saputo reagire bene, non solo in Svizzera. In tempi relativamente brevi si è tornati a organizzare campionati e competizioni regolari. Ciò ha dato fiducia agli atleti. È soprattutto per loro che sono felice che possano prendere parte a questi Giochi».

La maggioranza della popolazione giapponese si è però detta contraria al loro svolgimento. Ritiene che sia comunque corretto mantenerli?

«Sì. Un rinvio è una soluzione, un annullamento invece no. Se per otto anni non vi fossero i Giochi Olimpici, lo sport, la cui importanza abbiamo potuto verificare proprio nei mesi scorsi, perderebbe tantissimo. Ho la massima comprensione per la popolazione locale. La gente ha paura e guarda ai Giochi con scetticismo. Il comitato olimpico ha però reagito con senno. Più di quanto abbia fatto l’Uefa con gli Europei di calcio delle tante città ospitanti che hanno costretto i tifosi a viaggiare, degli stadi pieni. Andare da zero a cento non è la soluzione: bisogna tornare alla normalità per gradi. I nostri atleti sono molto cauti, l’ambiente che li circonda è molto responsabile».

Negli scorsi mesi lo sport è stato al centro del dibattito politico e sociale.

«Sono due gli aspetti principali della questione: da una parte, per la gente il bisogno di muoversi è centrale. D’altro canto, vi è la sua componente emozionale. Lo sport è più che movimento. Della valenza che associazioni e club sportivi hanno, ci siamo accorti nei mesi in cui li abbiamo dovuti lasciare da parte. È bene che questa riflessione la si continui a fare».

I contagi tornano a salire, in autunno la situazione potrebbe peggiorare. C’è il rischio di un nuovo stop allo sport?

«Non lo credo, no. Possiamo dire con una certa sicurezza che lo sport non è stato tra le cause della seconda ondata. L’atleta si è abituato a regole e protocolli, non farebbe fatica a seguire altri protocolli. La situazione è degenerata in altri contesti, non in occasione di allenamenti o competizioni ufficiali. Questo ci permette di dire che vogliamo che la gente continui a muoversi e che lo può fare se riapriamo gli eventi. Detto ciò, però, a ciascuno la propria responsabilità individuale».

Lo sport funge da esempio?

«Lo sport riesce a costruire ponti, nella socialità. Non c’è niente di meglio dello sport per staccare un po’, anche in momenti difficili, o per gioire. Dopo tante difficoltà, andiamo in direzione della gioia di vivere che solo lo sport sa generare».

La Confederazione ha promesso aiuti ingenti. Dal punto di vista economico, lo sport è già riuscito a scollinare?

«No, siamo ancora su un tratto particolarmente duro dell’ascesa all’Alpe d'Huez, pur intravedendo in lontananza il traguardo. Ci sono i presupposti per uscire dalla crisi. Per Swiss Olympic è importante che le risorse che sono state promesse vengano distribuite in maniera ragionevole. Finora è stato così. Ma servono altri mezzi, per questa fase di trasformazione. In caso di crisi future, dovremmo poter contribuire noi stessi, facendo meno affidamento sullo Stato».

Concretamente, quali passi farebbe lo sport di fronte a una nuova crisi?

«Con l’Alta scuola federale per lo sport abbiamo promosso il progetto “economia sportiva 5.0”. Al centro vi sono temi quali l’etica, il ruolo sociale delle associazioni, aspetti legati alla salute. È qui che devono confluire i nostri sforzi. In un paese piccolo come la Svizzera è ancora di maggiore importanza impiegare bene le risorse e sfruttare le sinergie».