Il caso dell'arcobaleno allo stadio di Monaco viene trattato in modo ambiguo dagli organizzatori, che sostengono un'insensata estraneità tra sport e politica
L’Uefa, mettendo sui social il proprio logo circondato da un arcobaleno, ha reagito con estrema prontezza alla decisione dell’Uefa, che non ha consentito alla Germania di accendere le luci dello stadio di Monaco in modo da creare un grande arcobaleno in vista della partita contro l’Ungheria. Doveva essere una risposta simbolica a ciò che sta accadendo a Budapest, dove – proprio durante l’Europeo – è stata votata una legge fortemente omofoba.
Ma quando l’Uefa decide una cosa è quella. Poi, certo, arrivano quei rompiscatole dell’Uefa a mandare un segnale opposto, ma all’Uefa ci sono abituati ad avere a che fare con l’Uefa: e in effetti non dev’essere facile.
Per l’Uefa, lo stop all’iniziativa dei tedeschi è arrivato perché “sport e politica non devono mischiarsi”. Una frase che uscita da una delle federazioni sportive più importanti del mondo fa venire forti dubbi sull’onestà intellettuale o quantomeno sulla memoria di chi parla a suo nome.
Lo stadio di Monaco con i colori dell'arcobaleno (Keystone)
Negli anni abbiamo assistito al boicottaggio americano delle Olimpiadi di Mosca 1980 e poi a quello del blocco sovietico a Los Angeles ’84. Abbiamo visto Smith e Carlos alzare il pugno al cielo durante la premiazione dei 200 metri a Città del Messico (1968) e Giochi Olimpici assegnati per puro calcolo geopolitico: vedi Pechino 2008, scelta nonostante la disinvoltura cinese sulla questione diritti umani. Lo stesso ha fatto, tra i silenzi compiacenti dell’Uefa, la Fifa, sua sorella maggiore, assegnando – tra scandali e accuse di corruzione – i prossimi Mondiali al Qatar.
La politica, e perfino la guerra, irruppero proprio agli Europei, nel 1992: quando l’Uefa – sempre lei – richiamò in tutta fretta dalle vacanze la Danimarca, seconda nel girone di qualificazione della Jugoslavia, perché gli ormai ex jugoslavi si stavano ammazzando tra loro. Un altro evento sportivo aveva contribuito a far cadere la Jugoslavia nel baratro sul cui ciglio ballava da tempo: la bandiera croata strappata in diretta tv dal cestista serbo Vlade Divac dalle mani di un tifoso nazionalista che aveva invaso il campo pochi secondi dopo la vittoria della Jugoslavia ai Mondiali di basket.
Sport e politica sono indissolubili: il dittatore Mobutu che porta Ali e Foreman a combattere a Kinshasa per mostrare la sua grandeur africana, Ali e il Vietnam, il doping di Stato della Germania Est, i generali argentini del 1978 che a due passi dallo stadio torturano e dentro si fanno belli con la Coppa del mondo, la guerra del football tra El Salvador e Honduras raccontata da Kapuscinski, la diplomazia del ping pong tra Cina e Stati Uniti...
Neuer con la fascia da capitano arcobaleno (Keystone)
L’approccio da azzeccagarbugli dell’Uefa è evidente: permette, nello stesso torneo, ai giocatori di inginocchiarsi per una causa civile di un’altra minoranza, quella nera. E lascia un arcobaleno sulla fascia del capitano della Germania, Neuer, ma poi lo censura.
Sommando azioni e spiegazioni degne di una supercazzola, l’Uefa sembra sia diretta dal Conte Mascetti di Amici miei: mostra l’arcobaleno sui social perché “simbolo di uguaglianza e tolleranza”, ma poi puntualizza dicendo che “non è un simbolo politico”. La richiesta dei tedeschi di mostrarlo, però, “è stata politica”.
Parole che vogliono dire tutto e il loro contrario, perché il calcio lo vedono – e soprattutto lo pagano – omosessuali e omofobi, tedeschi e ungheresi. L’Uefa lo sa. E sa che prendere una posizione ha un prezzo. Prenderne due, e se serve anche tre, è gratis. Anzi, finora ha fatto guadagnare un sacco di soldi.
L'ambiguo messaggio in inglese dell'Uefa sui social (Keystone)