La presidente del Plr rassegna le dimissioni. La svittese lascia con un bilancio in chiaroscuro un partito che si trova di nuovo in una spirale discendente.
‘Freisinn im Freifall’ (‘Liberali in caduta libera’); ‘Schicksaltage einer Staatspartei’ (‘Giorni fatidici di un partito di Stato’); ‘Rette sich, wer kann’ (‘Si salvi chi può’). La ‘Weltwoche’, vicina all’Udc, c’era andata giù pesante negli ultimi mesi sul Plr svizzero e la sua presidente. Due giorni fa la ‘Nzz am Sonntag’ vedeva Petra Gössi ‘Einsam an der Spitze (‘Sola al vertice’). Lo stesso giorno, sugli schermi della Srf, alla consigliera nazionale svittese veniva chiesto se fosse ancora la persona giusta (sì se è solo per questo, ha risposto) per guidare il partito dopo la bocciatura della legge sul CO2, progetto per il quale il sostegno del Plr era stato decisivo in Parlamento, ma che la base liberale-radicale ha contribuito non poco ad affossare. Ieri, infine, la ‘Nzz’ è tornata a domandarselo: “I giorni di Petra Gössi alla testa del Plr sono contati?”.
Non i giorni, le ore erano contate. Petra Gössi ha annunciato ieri mattina via twitter di voler gettare la spugna. Al più tardi a fine anno lascerà la presidenza del Plr. Il suo ritiro «non ha nulla a che vedere con la votazione» sulla legge CO2, ha dichiarato alla Srf. La 45enne afferma di voler dedicare più tempo al lavoro. Cinque anni alla testa del partito sono stati un impegno «usurante». Che le ha reso «praticamente impossibile» avanzare nella sua carriera professionale. La tempistica? In gennaio – ha spiegato – saremo esattamente a metà strada tra le ultime e le prossime elezioni federali. Il Plr avrà così il tempo di prepararsi a dovere per l’appuntamento elettorale dell’autunno 2023.
In realtà le ragioni personali/professionali sono note da tempo. Gössi era rimasta assente per un’intera settimana – in parte dedicata all’importante dibattito sulla Legge Covid – durante la sessione primaverile delle Camere.
Il motivo: un master in ‘business administration’ all’Università di San Gallo.
Del resto non lo scopriamo oggi: la complessità dei dossier e la pressione mediatica mettono alle strette i politici di milizia, che vedono rosicchiato sempre più tempo alla loro professione; e quello del presidente di partito è diventato in pratica un lavoro a tempo pieno. Non a caso i partiti fanno spesso fatica a trovare candidati disponibili (vedi la complicata successione di Albert Rösti all’Udc), oppure optano per la formula della co-presidenza (Ps). In questo senso la scelta di Petra Gössi non può dirsi puramente personale.
E poi all’interno del Plr le critiche – nei suoi confronti, così come sull’orientamento del partito – si sono moltiplicate negli ultimi tempi. Il sostegno alla legge sul CO2 è finito nel mirino di esponenti di primo piano, come i consiglieri nazionali Christian Wasserfallen e Kurt Fluri o Filippo Leutenegger, municipale di Zurigo ed ex consigliere nazionale. Il Plr è apparso privo di una linea chiara sulle risposte da dare all’economia colpita dalla crisi pandemica. Non ha fatto una gran figura nemmeno con l’accordo quadro, dietro al quale si era peraltro risolutamente schierato a inizio 2019. Le voci critiche – non di rado finite direttamente sui media – hanno finito col rendere incomprensibile la posizione del partito sul dossier più importante della politica estera. E non ha aiutato il fatto che siano stati anche i due consiglieri federali liberali-radicali Karin Keller-Sutter (da subito) e Ignazio Cassis (successivamente) a fare da becchini all’intesa con l’Ue.
Non è certo tutta colpa di Petra Gössi. A lei oltretutto va riconosciuto il grosso merito di aver fatto del Plr – fino a qualche anno fa praticamente silente al riguardo – un partito che oggi ha qualcosa da dire (cosa esattamente, resta da vedere) su clima e ambiente. Un riposizionamento strategico imprescindibile, date le sfide che ci attendono.
Tuttavia, l’affabile quanto schiva svittese non ha mai dato l’impressione (a differenza di altri presidenti di partito come Gerhard Pfister, Christian Levrat o la stessa Regula Rytz) di riuscire a lasciare la sua impronta sulla linea del partito, o di saper influire nella giusta misura sul lavoro del gruppo parlamentare liberale-radicale. “Gössi – scrive la ‘Nzz am Sonntag’ – è una presidente che non dirige, che diventa silenziosa, quando dovrebbe alzare la voce. Le manca il fuoco sacro, che per una simile carica dovrebbe fiammeggiare. Interpella i parlamentari su questo e quello. Questi e quelli però vogliono sapere da lei, in quale direzione si va. Invece di seguire la propria bussola, ascolta gli altri. Se le cose diventano spiacevoli, si isola. È rimasta sola”.
Nel 2016 Petra Gössi aveva preso le redini di un partito in buona forma. Sotto la guida dell’ex ‘senatore’ Philipp Müller, alle federali del 2015 il Plr aveva guadagnato consensi, interrompendo una discesa che andava avanti dagli anni Ottanta. Tutto lasciava presagire che il partito fondatore della Svizzera moderna potesse mantenere la china. Quattro anni più tardi – forte delle vittorie elettorali conseguite in molti cantoni – Gössi aveva posto l’asticella molto in alto: l’obiettivo era diventare il secondo partito più forte, superando il Ps. Fallì clamorosamente: il Plr toccò il minimo storico (15,1%), relegato a quarta forza in Parlamento. Da allora nessun altro partito di governo ha perso tanto a livello cantonale. E da quest’anno il Plr – che qui subisce la concorrenza sempre più agguerrita del ‘giovane’ Partito verde-liberale – non governa più alcuna grande città (Fluri: ‘Il Plr non capisce le città’). Una spirale negativa che tra poco più di due anni potrebbe anche costargli uno dei due seggi in Consiglio federale. Un arduo compito attende il successore di Petra Gössi.