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A lezione da Joe, in cerca dell’America che serve

Biden è salito sul proscenio con un team capace e agguerrito, una sorta di oggetto misterioso dopo quattro anni di totale insanità politica

(Keystone)

Ha spiazzato tutti o quasi. In meno di tre mesi, ha esternato una profonda ambizione di cambiare la società addomesticando anche la sinistra più radicale. Chi lo descriveva come il perenne vicepresidente di se stesso, l’attempato gaffeur con lo sguardo da sogliola alla mugnaia, deve ricredersi. L’altro, “Captain Chaos”, “Agent Orange” o “Adolf Twitler” a seconda del grado di ostilità che suscita, ha visto le sue fandonie silenziate dalla censura e deve ingoiare la rancorosa rabbia del cattivo perdente nel pacchiano resort di Mar-a-Lago.

Biden è salito sul proscenio con un team capace e agguerrito, una sorta di oggetto misterioso, dopo quattro anni di totale insanità politica, nel quale è felicemente incespicata la nazione americana. Dopo decenni di quella colossale tosatura alla socialità a cui ha dato la stura il reaganiano “il governo è il problema e non la soluzione”, l’orientamento di Biden si iscrive in una logica che ricorda illustri predecessori: “Make government great again”. I primi passi costituiscono uno spettacolare cambiamento di rotta che rispolvera negli obiettivi il New Deal rooseveltiano e soprattutto la Great society di Lyndon B. Johnson, il presidente in carica dal 1963 al 1969 che più di tutti agì per lottare contro la povertà (suo è il regime di assicurazione malattia universale per i più poveri, Medicaid, e per gli anziani, Medicare), a favore dell’educazione e per i diritti civili. Come il successore di John Kennedy, Joe Biden è stato eletto al Congresso all’età di 29 anni ed era inizialmente mal visto dalla sinistra del partito. Come Franklin Delano Roosevelt, il 46esimo presidente considera che la crisi sociale rischia di minare le istituzioni e di sfociare in una delle diverse articolazioni del fascismo.

Si fa quasi fatica a stare al passo con le misure inanellate in così poco tempo: quasi 2mila miliardi per il “Pandemic Relief Act” al quale dovrebbe aggiungersi, se votato dal Congresso, un gigantesco pacchetto per le infrastrutture. In tutto la spesa pubblica per i settori “non-defense” dovrebbe aumentare del 16% con il picco dell’incremento a favore del malandato settore dell’educazione (+41%), che non ha precedenti nella storia. Il rilancio delle energie rinnovabili si avvicina molto al “Green New Deal” auspicato dai “liberal” ai quali sono state servite su piatto d’argento anche le norme pro-Lgbt, il rilancio dei negoziati con l’Iran, il ritorno nell’Accordo di Parigi e il sostegno alla popolazione palestinese. Senza dimenticare che si è passati dai singolari consigli di iniettarsi la candeggina da parte di un improvvisato virologo a un approccio scientifico e di riflesso vincente nella battaglia contro il Covid.

Biden non vuole solo correggere le storture, mira a “trasformare il sistema” secondo il politologo Eric Rauchway. Per farlo necessita di quei fondi che la globalizzazione finanziaria ha fatto evadere dagli Stati. Il progetto di una tassazione universale delle multinazionali, che porta la firma della Segretaria al Tesoro Janet Yellen, è di quelli di portata epocale perché dovrebbe finalmente permettere di porre fine alla corsa al ribasso delle tasse, corsa che si conclude più o meno regolarmente nei paradisi fiscali. Le difficoltà non mancano, gli interessi in gioco sono enormi, il Congresso è diviso, ma quella di Joe è probabilmente l’America di cui il mondo oggi ha più bisogno.