Ovvero: cosa succede quando un partito populista deve sostenere un governo guidato da una persona competente, quindi non uno dei suoi
Secondo me li prendono per scemi. I militanti grillini, dico. Non si spiega altrimenti la formulazione del referendum online col quale il vertice del MoVimento 5 Stelle gli ha chiesto se vogliono appoggiare il governo Draghi: “Sei d’accordo che il MoVimento sostenga un governo tecnico-politico che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal MoVimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?”. Dentro ci sono tutti i paradossi del movimento, a partire da quello di un gruppo dirigente oscuro e ristretto – Casaleggio e Grillo, sostanzialmente – che cerca di convincere la base d’essere democraticissimo; lo fa con un referendum online su una piattaforma facilmente manipolabile, senza porre il quesito decisivo, ma cercando di distrarre tutti con la supercazzola del “superministero” ecologico, come quando i piazzisti d’assicurazioni ti dicono che telefonano per un sondaggio (tra l’altro “super” è un prefisso che si usa spesso nel marketing, di solito per oggetti di utilità ignota perfino al loro venditore).
Che si arrivasse al sostegno a Draghi era scontato: un po’ per l’oggettiva popolarità dell’ex presidente della Banca centrale europea, un po’ perché non si capisce bene come funzioni la piattaforma Rousseau, ma anche perché l’emergenza è di quelle che incoraggiano il sostegno a un “governo di responsabilità”. Gli arruffoni alla guida dei Cinquestelle sono riusciti insomma a frenare quel treno che loro stessi, per anni, hanno lanciato a velocità forsennata verso il vuoto di una presunta opposizione tra popolo ed élite, tra bravaggente e tecnici, tra onesti e ladri. Un guareschiano “contrordine, compagni”.
La speranza è che la lezione possa servire per il futuro, e non solo in Italia. Che cioè si capisca una volta per tutte come non basti vellicare il bassoventre della società per costruire una democrazia davvero partecipativa, e come la rappresentanza debba idealmente andare a chi sa cosa sta facendo. Cosa che non è successa negli ultimi anni, se è vero che per ricomporre il giocattolo smontato dagli infanti romani si è dovuto chiamare proprio Draghi.
Naturalmente, a chi ha combinato il pasticcio ora fa comodo nascondere l’accaduto. La parte istituzionalizzata del MoVimento giura che il nuovo governo sarà una prosecuzione di quello vecchio, cosa che fa ridere chiunque conosca la storia dell’ex banchiere: europeista ed epistocratico, insomma la nemesi dell’“avvocato degli Italiani” e dei Vaffa Day. La cosa non sfugge alla parte più bombarola del partito, e a tutti quelli che pur di non riconoscere il danno fatto si nascondono dietro all’ennesima teoria del complotto: quella per cui è tutta un’astuta mossa dei tecnocrati di Bruxelles per commissariare l’Italia, la pandemia è stata gestita benissimo e finalmente Roma aveva un governo di alto profilo. Sono quelli che rinfacciano il “golpe” al nuovo governo non eletto, come se Conte lo fosse mai stato, e come se gli italiani eleggessero davvero l’esecutivo. Si sta attribuendo a Draghi la presunta pugnalata europea alle spalle dell’Italia dopo la crisi del 2008, dimenticando che fu anzitutto lui, con politiche sostanzialmente keynesiane, a strappare il pallone dalle mani dei fanatici austeristi di Berlino.
Certo, con l’Europa l’Italia dovrà trattare, e non sarà facile. Ma rispetto all’ultima crisi l’Unione si direbbe più attenta all’importanza della spesa pubblica per il rilancio dell’economia: il problema è come spenderli, quei soldi, e la bozza di Recovery Plan presentata da Conte era solo un’accozzaglia di sussidi a pioggia. Una constatazione che getta una luce desolante su un sistema-Paese aggrovigliato su sé stesso. Al netto della retorica soteriologica di molti media italiani – che ne hanno già fatto partire il culto della personalità – a Draghi toccherà il ruolo di chi deve liberare da sé stessa quella politica alla quale, di volta in volta, dovrà però chiedere appoggio. Sarà un lavoraccio.