La scuola, soprattutto in questo momento così delicato, è il principale ‘antidoto’ per i nostri giovani contro il Covid
Tocca ora ai Cantoni, più precisamente alla Conferenza dei direttori della pubblica educazione, dire la loro in merito all’ipotesi di una possibile chiusura delle scuole, messa in consultazione dal Consiglio federale. Questa appare oggi come ultima ratio tra le strategie messe in atto dal governo per cercare di contenere la propagazione del virus, in particolare della tanto temuta variante anglosassone.
Stando a quanto trapelato mercoledì scorso dalle parole del ministro Alain Berset, la chiusura delle scuole sarebbe da evitare ad ogni modo. Secondo il capo del Dipartimento federale dell'interno l’esperienza fatta la scorsa primavera, quando le autorità hanno decretato la chiusura di tutti gli istituti scolastici della Confederazione, ha dimostrato che una tale misura comporta molti “problemi e disparità” per gli studenti. L’obiettivo principale del governo, ha ribadito il consigliere federale socialista, è quello di ridurre i danni sanitari, economici e sociali legati alla pandemia. “E questo vale anche per la generazione più giovane”, ha aggiunto Berset.
È su quest’ultima affermazione che vale la pena soffermarsi, anche alla luce della decisione presa ieri dal governo ticinese di sospendere le visite nelle case per anziani e negli ospedali (restrizione antipatica ma sensata che mira, appunto, a tutelare le categorie più a rischio).
A proposito della scuola molte sono le voci, compresa quella del direttore del Decs Manuele Bertoli, che hanno sollevato la questione del ‘buco formativo’ degli studenti, venutosi a creare dopo la chiusura degli istituti e del passaggio alle modalità d’insegnamento a distanza. Numerosi sono anche gli studi che dimostrano quanto sia stato difficile per gli allievi, in particolare per quelli appartenenti alle categorie sociali più deboli, seguire le lezioni da remoto.
Ma vi è un’altra dimensione fondamentale della scuola da evidenziare, a mio avviso di una valenza probabilmente più importante: la scuola sempre, ma in particolare in questo contesto pandemico, svolge prima di tutto una funzione ‘sociosanitaria’ (passatemi il termine). Ciò vale tra l’altro sia per la scuola dell’obbligo, sia per quella post obbligatoria. La scuola, soprattutto in questo momento così delicato, è il principale ‘antidoto’ per i nostri giovani contro il Covid, dal momento in cui dà una struttura chiara alle loro giornate e li toglie da una pericolosissima ‘solitudine digitale’ (come ha notato qualche giorno fa Aron Piezzi su queste pagine). Diventa quindi una questione di ‘salute pubblica’ garantire a tutti gli allievi di questo cantone la possibilità di frequentare, in sicurezza, gli istituti scolastici. Questo almeno finché non ci sarà una prova irrefutabile del fatto che la scuola in presenza mette a rischio studenti, insegnanti o altre persone. Si potrà dire del problema dei mezzi pubblici affollati, ampiamente evidenziato da ‘laRegione’ sull’edizione di ieri. Ma, allora, “prima di andare a toccare gli allievi, s’intervenga sulla mobilità”, ha giustamente dichiarato Bertoli nei giorni scorsi.
Di fronte a questo imminente scenario di negozi chiusi e scuole aperte, un pensiero va infine agli insegnanti. Fare il docente, si sa, non è mai un mestiere facile. Coraggio, maestri: ogni giorno, quando accogliete i vostri ragazzi in classe, state contribuendo non solo alla loro educazione, ma anche alla loro salute. Attuale e futura. Anche a voi va quindi detto grazie, davvero, per quello che state facendo.