Forse, data la portata di questa crisi e le difficoltà nel rilanciare i consumi, si tratta di un tentativo da prendere seriamente.
Lunedì riaprono le bettole, riparte tutto e quindi è meglio che ricominci anche questa rubrica, sennò fa la ruggine. In questo paio di mesi ho osservato il mondo come un pesce d’acquario, incapace di articolare un discorso sensato, e invece attorno a me era tutto un gran favellare.
Ora si ricomincia, e finalmente alla paura per la malattia possiamo aggiungere un sano sgomento per la crisi economica che ci aspetta.
Un primo pensiero, che mi ripeto a ogni recessione, è che dovremmo esserci risvegliati tutti keynesiani: da questa crisi – 6,7% di Pil in meno secondo la Seco, che già vive nelle favole – non usciremo semplicemente con crediti alle imprese, che poi comunque andranno restituiti. Serve una bomba d’investimento pubblico, la vecchia idea di pagare gente per scavare buche e riempirle di nuovo.
Ma stavolta forse non basta nemmeno Keynes: a cosa serve drogare la produzione se poi, tra paura e miseria, la gente non consuma? Può darsi che se ne esca meglio mettendo direttamente soldi in tasca alla gente. È l’idea del reddito universale di base. Abbiamo il vantaggio di essere un’economia-rifugio, il franco di per sé vale più delle mascherine: non dovrebbero esserci enormi problemi, anche se volessimo indebitarci per garantire a tutti un reddito fisso dignitoso. Per finanziarlo si potrebbero anche tassare le transazioni elettroniche fatte dalle banche migliaia di volte al secondo. Lo suggerisce l’economista Sergio Rossi, tra gli altri. Utopico? Forse, ma intanto si potrebbe provare.
Quelli che s’indignano e dicono “ma è un sussidio”, come se fosse una brutta parola, un po’ li capisco, ma mi lasciano perplesso. Certo, questa idea di mettere ogni mese tremila franchi sul conto di ognuno, di Paperone come di Paperino, può sembrare ripugnante. Ma l’economia è spesso una disciplina controintuitiva: se ad esempio uno Stato stringe la cinghia come il classico ‘buon padre di famiglia’, ecco che i problemi si fanno anche peggiori per il babbino caro. Proprio per questo l’idea del reddito universale – purché rimetta in circolo risorse dell’economia reale e non sia solo uno stampar soldi e creare inflazione – acquista un senso: chi non ne ha bisogno, perché ha già un reddito elevato, ripaga comunque lo sforzo con le imposte. Gli altri ricevono questo reddito di base senza la burocrazia e lo stigma sociale che normalmente perseguitano chi proprio non ce la fa.
Non penso che questo invogli la gente a non lavorare: per molti di noi il lavoro è una forma di riconoscimento sociale, una parte della nostra identità – anche troppo, delle volte –, perfino gli anziani scalpitano quando si chiede loro di rinunciare a ogni attività. Chi invece resta sul divano, lo farebbe anche senza “sussidio”. Il reddito universale sembra idealista e visionario, insomma: ma penso che anche l’abolizione della schiavitù, il voto alle donne e la pensione avessero lo stesso sapore, all’inizio.
Comunque vada, ci si rivede in bettola.