Prima i cinesi, poi lombardi e veneti, ora i ticinesi. Dove appare il coronavirus si viene ‘marchiati’ in massa come ‘appestati’ da evitare
Prima i cinesi, poi lombardi e veneti, ora i ticinesi. Dove appare il coronavirus si viene ‘marchiati’ in massa come ‘appestati’ da evitare, favorendo misure anti-cinesi, anti-italiani, anti-ticinesi. Che faranno i connazionali, chiuderanno il San Gottardo? E se il prossimo caso sarà a Berna, si isolerà la capitale dal resto della Svizzera? Si vedono situazioni assurde, come l’avventura di 40 italiani, provenienti da Lombardia e Veneto, respinti dalle autorità delle isole Mauritius per paura del coronavirus. Erano su un volo Alitalia partito da Roma. Senza nessun controllo sanitario, hanno ricevuto l’aut aut: tornare subito in Italia o 14 giorni di quarantena in un ospedale locale. Mentre gli altri passeggeri italiani di Roma, Palermo, Firenze, Genova... hanno potuto fare tranquillamente le loro vacanze. Eppure sono stati tutti, fianco a fianco, nello stesso aereo per dieci ore. Pericolose decisioni di pancia, quando invece serve una mente calma e lucida. Teleclub ad esempio ha preso ieri una misura precauzionale, i commentatori sportivi ticinesi non devono recarsi in Svizzera tedesca per almeno due settimane. Diverse aziende ticinesi stanno invitando i dipendenti a lavorare da casa. Ciascuno si regola come crede con i 68mila frontalieri che ogni giorno varcano le nostre frontiere. Ora che succederà ai ticinesi impiegati nel resto della Svizzera? Li lasceranno a casa? Telelavoro? Insomma, dove sta la giusta misura?
Il primo caso in Ticino non l’ha portato un frontaliere, ma un uomo di 70 anni che si è contagiato ad un evento a Milano a metà febbraio. L’uomo si è curato a casa, in contatto telefonico col medico curante che ha allertato il sistema sanitario. Quando il 70enne si è recato alla clinica Moncucco di Lugano tutti erano preparati e con la mascherina. Poi le analisi hanno confermato i sospetti. Un caso da manuale. Pragmatismo, preparazione e informazione hanno vinto il panico. L’ufficio del medico cantonale ora sta ricostruendo tutti i contatti dell’uomo per mettere in quarantena chi è a rischio. Le autorità continuano a richiamare alla calma e alla responsabilità individuale. Ciascuno deve fare la sua parte. Le regole d’oro: chi non sta bene non va all’ospedale e nemmeno al lavoro. Si chiama il medico curante. Lavarsi spesso le mani. Informarsi sui canali ufficiali (helpline 058 463 00 00 dell’ufficio federale della sanità) senza tempestare medici e ospedali di telefonate. La responsabilità del singolo e del sistema sanitario sono fondamentali per contenere e gestire al meglio i casi sospetti. Avremo sempre questa fortuna? Siamo in una settimana di vacanza, tanti ticinesi tra qualche giorno rientreranno dalle ferie di Carnevale, magari sono stati a Venezia, dove spesso si va in treno. O hanno fatto shopping a Milano. Che facciamo, li blocchiamo tutti in frontiera? E tutti quei medici e infermieri frontalieri che fanno funzionare i nostri nosocomi? Blocchiamo pure loro? Scelte non facili, ma dobbiamo fidarci della scienza, non è ‘una normale influenza’, ma nemmeno la peste. Il governo deciderà passo dopo passo che cosa fare, ad esempio lunedì con le scuole. Per ora si reagisce ai casi sospetti, contendendo il rischio di contagio. Ma il virus sfugge, riappare, gira. È illusorio pensare di poterne controllare gli spostamenti in un mondo così connesso e mobile. Quanto potrà difenderci il governo? Oggi le autorità federali hanno spiegato che in Svizzera la strategia cambierà, senza specificare come cambierà, solo quando la catena di trasmissione sfuggirà di mano, ossia quando non si riuscirà più a ricostruire chi ha contagiato chi. Intanto non ci resta che agire con senso di responsabilità e rispetto verso gli altri, soprattutto la parte più debole, gli anziani.