E non si tratta di voler tenere gli allievi sotto una campana di vetro!
Telefonini a scuola: il giro di vite è stato dunque benedetto da una larga maggioranza del parlamento. Ora la palla passa al consigliere di Stato Manuele Bertoli. Il ministro avrebbe preferito lasciare maggior autonomia agli istituti, che hanno utilizzato in modo differenziato le direttive già adottate dal Decs. Così alcune scuole medie avevano già deciso di bandire i telefonini, mentre altre sedi avevano adottato soluzioni più soft nelle pause, senza trasformare i docenti in poliziotti.
Ora è però passata la richiesta che vuole che nelle scuole dell’obbligo si spengano gli smartphone. Apparecchi che non dovranno neppure essere visibili fisicamente e che non potranno essere utilizzati – e questa è la sfida più impegnativa – durante le pause. Un passo per gestire in modo più omogeneo la materia in tutte le scuole dell’obbligo. Di fatto si inaspriscono e uniformano le precedenti direttive del Decs di Bertoli.
Come noto, sul banco degli imputati vi sono due comportamenti problematici nei rapporti giovani-cellulare: il cyberbullismo, i cui effetti possono essere devastanti sulle vittime, e l’uso senza limiti dello smartphone, che crea dipendenza (anche) nei giovani.
In aula si sono confrontate due visioni. Quella di chi in sostanza ha detto che non si proteggono i giovani mettendoli sotto una campana di vetro e quella di chi ha sostenuto la creazione di momenti di astinenza dal telefonino – non tanto per permettere ai ragazzi di concentrarsi maggiormente su quello che si impara a scuola (perché durante le lezioni i telefonini sono sempre ritirati o spenti) – ma per permettere loro di fare esperienze di vita reale coi compagni perlomeno durante le pause. Per accorgersi dei mutamenti generati da tale tecnologia basta del resto passare durante la ricreazione fuori da taluni istituti scolastici che non hanno bandito i cellulari dal perimetro scolastico. Si possono vedere tanti giovani, uno accanto all’altro, che non dialogano, ma consultano il proprio schermo.
Si tratta quindi di far capire a chi non ha mai vissuto senza il telefonino che ci sono anche persone in carne ed ossa che ci stanno accanto e con le quali è bello interagire. Che la vita reale – che poi li attende fuori – è anche fatta di rapporti umani con persone vere. Che deve esserci un giusto equilibrio fra uso degli schermi privati e vita sociale. Ed è un bene che la scuola opti per un cambio di passo favorendo quel genere di esperienze a scapito del dio-cellulare.
Certo, può però essere problematico delegare ulteriori compiti alla scuola se… accanto ai docenti non vi sono le famiglie. È indispensabile che queste ultime siano alleate con gli insegnanti, i quali dovranno già vegliare affinché la scelta di campo (e di valori) sia effettiva. Starà a loro far rispettare l’inasprimento. E se si troverà l’alleanza coi genitori – che spesso si lamentano perché non sanno più come fare – scuola e famiglia avranno tutto da guadagnarci. Famiglie che spesso (e purtroppo) hanno già perso la prima battaglia dell’uso consapevole del telefonino a casa loro…
Non si tratta quindi di voler tenere nessuno sotto una campana di vetro. Anzi, la scuola deve continuare a preparare allievi capaci di entrare nel miglior modo possibile nel mondo del lavoro e in società. Anche per questo il parlamento ha già licenziato un messaggio di 47 milioni di franchi per creare aule di informatica e dotare gli allievi di tablet e lavagne interattive. La formazione su questo fronte deve continuare. Come deve continuare la formazione al rispetto di chi ti siede accanto (evitando atti di bullismo), nel quale ci inseriamo la considerazione delle persone (evitando di sostituirle con gli schermi).