Commento

Il Ps e la difficile uscita dall'era Levrat

Il presidente socialista annuncia le sue dimissioni in un momento complicato per il partito, uscito sconfitto dalle elezioni del 20 ottobre

(Keystone)
13 novembre 2019
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Siamo nel 2007: il Ps perde il 3,8% nell’elezione per il Consiglio nazionale. Scende di nuovo sotto il 20%, là dov’era finito negli anni 80. In reazione alla disfatta, pochi giorni dopo il presidente Hans-Jürg Fehr fa mea culpa e si dimette. Lo sostituirà nel marzo seguente un 37enne consigliere nazionale: Christian Levrat. Che nell’intervallo – dicembre 2007 – ha contribuito alla riuscita di una delle operazioni più spettacolari della storia politica svizzera: l’estromissione di Christoph Blocher dal Consiglio federale e il suo rimpiazzo con Eveline Widmer-Schlumpf.

Non è un caso se ieri Levrat – annunciando a sua volta, dopo un’altra batosta elettorale, di volersi fare da parte la prossima primavera – ha ricordato l’‘invenzione’ di un “Consiglio federale progressista” come il clou della sua carriera politica. Già nella primavera di quel 2007, dunque non ancora presidente del Ps, assieme al ‘senatore’ e futuro consigliere federale Alain Berset, Levrat aveva pubblicato un libricino dal titolo ‘Changer d’ère’ (Cambiare era). All’apice dell’ascesa elettorale dell’Udc, i due friburghesi vi preconizzavano un contratto di legislatura tra socialisti, verdi e popolari-democratici. Uno spostamento verso il centro-sinistra del baricentro politico, che di lì a poco diverrà effettivo sia in seno al Consiglio federale (grazie all’ingresso di Widmer-Schlumpf e alla sua permanenza fino al 2015), sia del Parlamento (dove dal 2011 i tre partiti hanno spesso dettato le maggioranze, anche dopo il 2015 nonostante una maggioranza aritmetica Udc/Plr al Nazionale che però raramente s’è imposta). Da timoniere del secondo partito svizzero, in questo paesaggio politico che ha contribuito a modellare, Levrat s’è mosso con rara abilità e acume tattico nelle ultime tre legislature.

Adesso se ne va, lasciando in un momento delicato per il Ps. Nell’elezione che, grazie ai Verdi, ha segnato un’inedita avanzata della sinistra, proprio la formazione storica della sinistra è calata al Nazionale ai minimi dal 1919 e vede andare in fumo parecchi mandati agli Stati. La sconfitta però non va ingigantita. Il partito ha pagato lo scotto del fattore congiunturale (il clima). In termini numerici e di seggi, il calo subito è dovuto per il 50% alla pessima performance nei cantoni di Berna e Zurigo. Anche gli altri partiti di governo sono al loro livello più basso (Plr, Ppd) o hanno fatto un grande balzo indietro (Udc). E poi nei parlamenti cantonali, in questa legislatura, i socialisti hanno guadagnato 21 mandati (meglio hanno fatto solo Verdi e Plr); molte città medio-grandi, inoltre, sono saldamente nelle loro mani. Benché battuto alle urne sulla Previdenza vecchiaia 2020, il Ps di Levrat ha vinto importanti votazioni popolari (due su tutte: il ‘no’ alla Riforma III dell’imposizione delle imprese e il ‘sì’ al successivo progetto con tanto di finanziamento supplementare dell’Avs). E il suo stato di salute tutto sommato resta invidiabile se paragonato a quello della socialdemocrazia in altri Paesi (Francia, Germania e via dicendo).

Il bilancio è negativo, però, sul piano elettorale. Nell’era Levrat, tranne che nel 2015 (+0,1%), il Ps ha continuato a perdere consensi a livello nazionale. Il presidente uscente relativizza («Non abbiamo il ‘verde’ nel nome»). Ma il declino del suo partito – sintomo di una disaffezione dalle radici profonde? – va analizzato con attenzione e autocritica. Il nuovo o la nuova presidente avrà il non facile compito di riposizionare il Ps, rendendolo nuovamente attrattivo sia agli occhi degli elettori delle fasce abbienti (una parte di loro stavolta gli ha voltato le spalle, preferendo Verdi e Verdi liberali), sia a quelli del suo elettorato ‘naturale’, ovvero i lavoratori dai redditi medio-bassi.