La prima edizione sotto la nuova direzione non è stata eccellente e ha avuto cadute difficilmente comprensibili. Ma supera la prova
Con il Pardo d’oro al bellissimo film di Pedro Costa, si è conclusa sabato la 72ª edizione del Locarno film festival. La prima, sotto la direzione artistica di Lili Hinstin e – come lei stessa aveva scritto nella presentazione del programma – la prima edizione di un direttore artistico è inevitabilmente vista come un manifesto.
A noi questa sua prima edizione è sembrata piuttosto un capolavoro. Ma – e qui si spiegano le virgolette nel titolo – non nel senso moderno di “opera particolarmente ben riuscita”, bensì in quello originario. Il capolavoro era infatti il lavoro con cui l’apprendista di bottega dimostrava di aver imparato il mestiere: una prova di abilità ancora lontana dall’eccellenza e dalla maestria che, inevitabilmente, sarebbero arrivate col tempo.
Ecco, questa prima edizione sotto la direzione di Hinstin non è stata eccellente, e anzi ci sono state delle cadute difficilmente comprensibili – e questo al di là di gusti e sensibilità personali che immancabilmente influiscono sul giudizio di un singolo film, figuriamoci di una manifestazione come il Festival. Insomma, passi per alcuni film poco convincenti incontrati nelle varie competizioni, passi per le commedie insipide proiettate in Piazza Grande, ma davanti a quegli ottomila spettatori sono passati due film che hanno affrontato con sconsideratezza due temi delicati e importanti come il terrorismo di matrice islamica (‘7500’ di Patrick Vollrath) e la violenza di genere (‘Instinct’ di Halina Reijn). I due registi sono forse scusabili con l’ingenuità dell’opera prima, ma possibile che nessuno si sia interrogato sull’opportunità di affrontare in quella maniera due argomenti così sensibili?
Un Festival imperfetto, dunque, per questo e altri motivi – tra cui vale la pena citare la poca internazionalità di alcune sezioni. Tuttavia ci sembra che Lili Hinstin abbia comunque superato la prova, che il suo capolavoro, nel senso detto prima, ne dimostri capacità e potenzialità. Pensiamo alla bella Retrospettiva dedicata al cinema black, voluta dalla direttrice e curata da Greg de Cuir Jr, che non solo ha portato a Locarno importanti opere della storia del cinema, ma ha anche aperto lo sguardo del pubblico a un tema importante. Pensiamo alla realtà virtuale, una tecnica interessante ma cinematograficamente ancora immatura che la direttrice non ha voluto rinchiudere nel ghetto di una apposita sezione, mettendo quindi in competizione film in VR (quest’anno solo due) e film tradizionali. Pensiamo a un film come ‘Camille’ di Boris Lojkine che ha portato in Piazza Grande la dimenticata guerra civile nella Repubblica Centrafricana – conquistando il Prix du public, e questo nonostante la presenza di Tarantino! Pensiamo al Pardo d’onore al dissacrante John Waters che ha potuto portare a Locarno i suoi intelligenti e divertenti oltraggi alla tradizione e al perbenismo, uno spirito che la direttrice ha voluto abbracciare con le proiezioni di mezzanotte in Piazza Grande, ribattezzate Crazy Midnight con film curiosi come ‘Greener Grass’ di Jocelyn DeBoer e Dawn Luebbe (e altri purtroppo meno convincenti). Pensiamo al premio speciale dato a un visionario come Enrico Ghezzi.
Tutti elementi che ci fanno guardare con motivato ottimismo al 5 agosto 2020, quando inizierà la 73ª edizione del festival di Locarno.