Ha vinto il pragmatismo, con la decisione di procedere a questa intesa. Ma che andrà spiegata davvero bene, perché la storia è maestra di vita
Il via libera del Plr alla congiunzione della propria lista con quella del Ppd per la corsa al Consiglio nazionale, deciso dal Comitato cantonale liberale radicale di ieri, è una vittoria delle rispettive dirigenze, ma è soprattutto la vittoria della Realpolitik. Non un matrimonio, è stato ribadito da ambo le parti. Non un ‘annacquare il nostro vino’, è stato detto ieri dal presidente cantonale Bixio Caprara. Ma un rendersi conto che se a sinistra come a destra si vengono a creare poli competitivi e battaglieri, il centro non può rimanere fermo a guardare lo scorrere degli eventi. L’arte del compromesso è fra i tratti caratteristici della politica svizzera, arte invidiata in molti Paesi vicini e lontani. Ed è appunto alla ricerca di questo compromesso che due partiti con storie più che differenti si sono seduti a un tavolo avviando delle trattative imposte dall’attualità politica. Già, perché alla consolidata intesa a destra – vale a dire quella tra Lega e Udc – si è recentemente aggiunta quella a sinistra, con Ps, Verdi, Partito comunista e Forum alternativo. Una novità non di poco conto che ha giocato un ruolo importante: la sinistra non avrebbe recitato la parte del convitato di pietra come alle scorse elezioni federali quando, uscita malconcia dalle cantonali di pochi mesi prima, era composta da partiti e dirigenze che faticavano anche solo a comunicare tra di loro. Beninteso, se si parla di vittoria della Realpolitik per questa congiunzione al centro, lo stesso discorso è da applicare a sinistra. Dove non tutto unisce, anzi. Dove soprattutto riguardo all’economia le differenze ci sono (il recente voto sulla Rffa è emblematico), ma si è scelto di procedere insieme valorizzando ciò che, invece, unisce. Quello che aspetta Plr e Ppd però, al contrario di quanto accade con Ps e Verdi – soddisfatti per l’unità a lungo cercata e infine trovata –, è un percorso che si annuncia difficile, anche se ambizioso. Perché, se è vero che di mera collaborazione si tratta, ebbene questa collaborazione andrà spiegata con tutti i crismi a una base che, si sentiva qua e là ieri a Melide, così graniticamente convinta non sembra essere. Una collaborazione che andrà spiegata soprattutto partendo da due assunti. Il primo è che a prendere parte al voto nel ‘parlamentino’ Plr sono stati in 161 (su 299 aventi diritto), con 112 a esprimersi a favore. Un numero rappresentativo davvero dell’insieme della base liberale radicale? Il secondo è che l’ipotesi ha preso le mosse da una Berna federale diversa dal Ticino, rispetto a logiche, dinamiche e attitudini. Se non vi è alcun dubbio che ieri abbia vinto il pragmatismo, adesso si apre la seconda fase, non meno delicata di quella che ha accompagnato i due partiti finora: il prendere voti. E il Partito liberale radicale lo farà forte sì di un discorso, si diceva, pragmatico basato sulla conferma dei propri seggi e con una decisione di maturità politica e strategica improntata all’apertura. Ma la storia è maestra di vita, come scriveva Cicerone. E le pagine di storia che ha scritto in Ticino la rivalità tra Plr e Ppd, tra liberali e conservatori – e non si parla solo di sparatorie dei tempi che furono, ma di ancora attuali diffidenze identitarie portate dalla consuetudine più che dalla pratica, e per questo più difficili da sradicare –, non è immediato che si voltino parlando solamente di obiettivi comuni a Berna, di ‘collaborazioni’ a livello cantonale e di alleanza al centro contro la polarizzazione degli estremi. Appunto perché così ambiziosa è una sfida arricchente per entrambi. L’esito sarà dato dalla forza che avranno nel renderla partecipata, motivante. E sentita, per davvero.