Commento

Vite da precari anche con un lavoro e il rancore cresce

L'indigenza silenziosa che le statistiche faticano a leggere è anche legata ad un universo del lavoro che produce posti mal pagati e intermittenti

foto Ti-Press
4 maggio 2019
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Basta un imprevisto come la fattura del dentista per mandare in tilt varie famiglie o single che pur lavorando vivono sul filo del rasoio con periodi di precariato segnati da costanti rinunce. Niente extra come una vacanza o un tuffo in piscina, vestiti di seconda mano, fatture da pagare che si impilano. Proprio per non finire in assistenza o cercare di uscirne, si allunga la fila di chi chiede aiuti ad associazioni benefiche come ad esempio Tavolino Magico che nella ‘benestante’ Lugano ha aperto a gennaio il terzo centro di distribuzione di cibo, il quinto nella regione. L’associazione da inizio anno porta tre volte al mese alimenti anche alla dispensa di Campione d’Italia. Sono sotto pressione anche altri enti benefici come la mensa sociale di fra Martino a Lugano, dove i piatti caldi non bastano mai. Chi è al fronte percepisce un aumento della povertà, che non si riflette nelle statistiche che vedono diminuire chi è in disoccupazione e in assistenza. Una schizofrenia che può avere diverse chiavi di lettura. Il calo degli assistiti può essere legato al calo dell’immigrazione. Forse la minor burocrazia di iniziative benefiche induce più facilmente una famiglia in difficoltà a ricorrervi, specialmente se il bisogno è improvviso e non dura molto nel tempo. Detto ciò, le statistiche rassicuranti leggono davvero la reale precarietà in Ticino? Siamo stati al centro di distribuzione di Cornaredo di Tavolino Magico per parlare con chi riceve la spesa ogni giovedì.
C’è Roberto, 40 anni, ex bancario travolto dalla crisi che malgrado abbia due diplomi vive di aiuti qua e là: non riesce a reinserirsi e non percepisce l’assistenza. Incontriamo Sandra, 45 anni, e Sara, 30 anni, due mamme che cercano di sbarcare il lunario a colpi di lavoretti per mantenere i figli: una fa la fattorina a 300 franchi al mese per arrotondare gli aiuti sociali, l’altra fa le pulizie anche per 12 ore al giorno. Ma non basta e il budget familiare resta drammatico. Ebbene sì, il lavoro aumenta, ma anche la precarietà. Sembra un controsenso, ma non lo è. Come spiega l’economista Christian Marazzi ad aumentare è il lavoro a tempo determinato, quello su chiamata e il lavoro neoindipendente di ‘freelance’, ex dipendenti diventati satelliti della loro impresa. Il part-time diventa sempre più breve e spesso vincolato alla disponibilità di esserci sempre. Secondo Marazzi il mondo del lavoro si sta polverizzando e ‘produce’ posti mal pagati e intermittenti, periodi di vuoto salariale. In questo nuovo contesto si insidiano moderne forme di precarietà, che le statistiche faticano a leggere.
Chi può resiste e non chiede l’assistenza. Nei momenti di difficoltà si ricorre a enti benefici, ma se i periodi difficili diventano cumulativi si rischia di scivolare nella povertà. Anche con una laurea in tasca, oggi, quando va bene, si deve mettere in conto qualche stage gratuito per farsi le ossa e la rete di contatti, prima di iniziare a guadagnare. Se va peggio, si passa di stage in stage, posticipando sempre più l’entrata nel mondo del lavoro. L’attuale generazione di trentenni rischia di essere tra le più formate, ma anche tra le meno pagate per quanto produce. Se pure i giovani stentano ad avere un salario potrebbe risentirne, alla lunga, anche l’Avs in una società, sempre più rancorosa.