Il partito sta subendo un travaglio interno sulla scia di Argo 1
Come leggere le tensioni interne al Ppd che, sfociando in ripetute dichiarazioni pubbliche, mettono sotto pressione la commissione cerca del partito che sta faticosamente scegliendo i candidati al Consiglio di Stato? Come segno di vivacità del partito, ha prontamente risposto Fiorenzo Dadò, indicando i tanti big che vorrebbero figurare sulla lista azzurra e tentando così di calmare le acque. Sarà vero? Intanto siamo già ad autunno inoltrato e non si sa ancora bene se, accanto al (discusso) uscente Paolo Beltraminelli, correranno Michele Rossi, Alessandra Zumthor, Elia Frapolli e Raffaele De Rosa. O se qualcuno di loro dovrà lasciare il posto ad almeno uno degli ex-presidenti, Fabio Bacchetta Cattori o Giovanni Jelmini; o ancora, all’ex presidente dei giovani democratici cristiani svizzeri, Alessandro Simoneschi, sceso in campo venerdì con l’ultima (per ora) missiva assai critica sul metodo di formazione della lista.
Ebbene, quando anche le critiche su aspetti tutto sommato secondari, perché concernono questioni interne di composizione e procedure (ad es. le primarie sì o no) della squadra azzurra, esplodono alla luce del sole di ottobre, significa che si sta tentando il tutto per tutto per produrre in zona Cesarini una virata alla composizione della lista. Questo perché il partito sinora, dal suo interno (dai soliti gremi molto limitati che gestiscono le liste), non ha avuto la forza di uscire dall’impasse in cui si trova.
E come si chiama l’impasse? Si chiama scandalo Argo 1. Una vicenda che ha macchiato la figura del presidente Dadò e quella del consigliere di Stato Beltraminelli. Macchia in parte sbiadita con l’uscita di scena di Fiorenzo Dadò, che (solo) un paio di settimane fa ha annunciato l’intenzione di non correre ad aprile per il seggio di Beltraminelli. Un vade retro indotto dalla disponibilità da parte della commissione cerca di guardare fino a quel momento con una certa accondiscendenza alla candidatura dell’ex presidente (il locarnese) Bacchetta Cattori. Ma, come noto, non appena Dadò ha gettato la spugna, le azioni di Bacchetta Cattori sono andate al ribasso e ha ripreso vigore la disponibilità dell’altro ex presidente Giovanni Jelmini.
Ora cosa succederà? Nessuno può dirlo. L’unica evidenza è che il partito sta subendo un travaglio interno sulla scia di Argo 1, con forti interrogativi circa l’opportunità che in lista figuri ancora il ministro uscente. Le ripetute uscite pubbliche di Bacchetta Cattori e Jelmini prima, e ora di Simoneschi vanno tutte in questa direzione, intavolando le ultime briscole anti-Beltra, lavando i panni sporchi in piazza. Un travaglio che avviene attorno a due interrogativi: quanto il ministro uscente Beltraminelli, rimanendo in lista, espone il Ppd alle prossime elezioni? Ricordiamo che la commissione d’inchiesta parlamentare non ha ancora rassegnato il suo rapporto! E poi: chi fra i cavalli di razza che mordono il freno ha il profilo giusto per essere considerato un’allettante alternativa da parte dell’elettorato Ppd e al contempo è in grado di attirare voti di panachage?
Intanto, la Lega dei Ticinesi manifesta certezza quanto alla riconferma della propria doppietta, rifiutando il matrimonio elettorale con l’Udc, che le avrebbe permesso di riconfermare in carrozza i due uscenti: Normann Gobbi e Claudio Zali. E questo anche se il centro-destra comincia ad essere parecchio affollato. Ciò è confermato dalla composizione della lista Plr, e – per quanto si può intuire – anche della lista Ppd, visto che non ci sono ancora garanzie sulla presenza di cristiano-sociali fra i cinque e pure, come detto, dall’Udc che viaggerà in solitaria. Novembre ci dirà.