Commento

Osservazioni sul ‘pacchetto’

Luce verde dal Consiglio nazionale alla nuova riforma fiscale delle imprese con finanziamento dell'Avs, un compromesso politico che va spiegato

(Maurer)
13 settembre 2018
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Unione europea e Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico non ne vogliono più sapere degli statuti fiscali speciali concessi dai Cantoni a holding, società di domicilio o miste. Nel 2014 la Svizzera si è impegnata ad abrogarli. Oggi sono ancora lì. Un primo tentativo di sopprimerli e di allinearsi alle norme internazionali è naufragato in votazione popolare. Nel febbraio del 2017 quasi quattro votanti su dieci hanno seguito la sinistra e i sindacati respingendo – contro il parere di partiti borghesi, organizzazioni economiche e Cantoni – la terza riforma dell’imposizione delle imprese. A segnarne la sorte è stato forse più di ogni altro un argomento: i benefici saranno appannaggio delle grandi imprese; invece, cittadini contribuenti e piccole e medie imprese saranno chiamati alla cassa.

Lezione imparata? La rinuncia alla controversa imposta sull’utile con deduzione degli interessi, l’imposizione un po’ più incisiva dei dividendi, la limitazione dello sgravio fiscale per le imprese; ma soprattutto, l’introduzione di una compensazione sociale: la nuova versione della riforma fiscale non è «lo stesso prodotto in un nuovo imballaggio» (Lisa Mazzone, Verdi). Il Progetto fiscale 17 (Pf 17), poi arricchito di un finanziamento dell’Avs, è tutto sommato più equo dello squilibrato progetto affossato dal popolo. E il Nazionale, pur avendolo reso un po’ più favorevole alle imprese, ha dato ieri una bella spinta a questo ‘pacchetto’ sui generis ideato da un manipolo di ‘senatori’ e approvato in giugno dal Consiglio degli Stati. 

Le aspettative sono enormi. Se la riforma non andrà in porto la situazione sarà «drammatica», ha ammonito in primavera il ministro delle Finanze Ueli Maurer. Non sappiamo se il ‘pacchetto’ denominato ‘Riforma fiscale e finanziamento Avs’ sarà di vitale importanza per il futuro della piazza economica svizzera. Limitiamoci per ora a osservare che:

. le misure del suo ‘volet’ fiscale non rappresentano che un modesto miglioramento rispetto al precedente, abortito progetto: le perdite fiscali per Confederazione, Cantoni e Comuni restano enormi, e sono persino più consistenti di quelle previste dal progetto governativo; 

. il dibattito è incentrato sull’aspetto fiscale; come se non esistessero altre ragioni – la stabilità politica, il buon funzionamento delle amministrazioni pubbliche e dei servizi pubblici, l’eccellenza del sistema scolastico e via dicendo – per cui le imprese straniere prendono casa nella Confederazione; e come se la Svizzera non fosse già oggi uno dei Paesi più attrattivi al mondo sul piano della fiscalità delle imprese; 

. i Cantoni da tempo fanno a gara a chi abbassa di più le imposte sugli utili per attirare società straniere e no: il ‘pacchetto’ offre ben pochi incentivi suscettibili di riuscire a frenare questa spirale verso il basso (ma, d’altro canto, chi ci dice che senza riforma la concorrenza intercantonale non diventerebbe ancor più aggressiva?);

. il finanziamento dell’Avs (2,1 miliardi di franchi l’anno) non è a carico dei beneficiari della riforma (società e azionisti), bensì per oltre la metà dei salariati (e di tutti i datori di lavoro) attraverso un aumento dei prelievi sui salari; comunque, in virtù della logica redistributiva dell’Avs, i ‘ricchi’ proporzionalmente pagano di più e ricevono di meno rispetto ai ‘poveri’, per cui è lecito definire ‘sociale’ la compensazione; 

. in un’eventuale votazione popolare i cittadini non avranno la possibilità di distinguere, potranno solo approvare o respingere il pacchetto, che non è altro che un compromesso politico: non proprio un caso esemplare di libero esercizio del diritto di voto. 

Comunque, il lancio del referendum è sicuro. Di tutto ciò e di altro ancora, quindi, si tornerà con ogni probabilità presto a parlare. Ed è bene che sia così. Perché questo ‘pacchetto’ sarà pure una «piccola opera d’arte del compromesso politico» (così l’ha definita il ministro delle Finanze Ueli Maurer), ma richiede molte spiegazioni.