Il governo vuole un'analisi 'critica' delle relazioni con l'agenzia Onu per i profughi palestinesi. La riprova di come siano mutati gli equilibri con Cassis.
A metà maggio, al termine di un viaggio nella regione, il capo del Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae) Ignazio Cassis aveva dichiarato in un’intervista che gli aiuti all’Unrwa – l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi – per le persone che da anni vivono nei campi in Giordania e in Libano ostacolano la loro integrazione. Sostenendo l’agenzia dell’Onu, si mantiene viva la speranza in un ritorno in patria e si alimenta il conflitto israelo-palestinese, aveva detto il responsabile della diplomazia elvetica. Le sue affermazioni avevano sollevato un vespaio, in Svizzera e all’estero. Le critiche – da parte delle organizzazioni umanitarie, ma non solo – erano state veementi.
Tre mesi dopo, con una decisione passata inosservata ai più, il Consiglio federale s’è detto disposto ad accogliere la proposta contenuta in un postulato del consigliere nazionale Philippe Nantermod (Plr/Vs): sottoporre la cooperazione della Confederazione con l’Unrwa a un’analisi approfondita, anche critica. Il governo vuole esprimersi in un rapporto sulle relazioni tra la Svizzera e l’agenzia dell’Onu e sulle “prospettive future al riguardo”. “È legittimo – ha scritto negli scorsi giorni – che il nostro Paese, uno dei principali finanziatori del budget dell’agenzia, partecipi alle riflessioni sul futuro di questa organizzazione”.
La decisione ha un’incidenza politica che non va sopravvalutata, perlomeno a corto termine. Un postulato, se accettato dalla Camera interessata, si limita a incaricare il governo di studiare una determinata questione. Nel caso specifico, per giunta, il Consiglio federale non manca di ribadire che l’Unrwa svolge “un ruolo fondamentale per quanto riguarda la stabilità della regione e la lotta alla radicalizzazione”. E poi, per quanto ne sappiamo, possono anche esserci valide ragioni per analizzare con spirito critico le attività dell’agenzia Onu istituita nel dicembre del 1949 e i rapporti che la Svizzera intrattiene con essa. Ma non è questo il punto.
Può pure darsi che i due consiglieri federali del Plr (oltre a Cassis, Johann Schneider-Ammann) e i due dell’Udc (Ueli Maurer, Guy Parmelin) non siano stati gli unici a esprimersi a favore del postulato. Ma nemmeno questo in fondo è rilevante. Quel che conta è che la ‘tesi’ ripresa e rilanciata a mo’ di ballon d’essai sui media elvetici dal loquace ministro degli esteri sia stata in un qualche modo recepita dal governo. A riprova di quanto l’elezione del ticinese, poco meno di un anno fa, abbia modificato gli equilibri in Consiglio federale.
Da allora, con l’‘apprendista’ Cassis (così si era definito il neo ministro degli esteri) al posto di Didier Burkhalter (più uomo di Stato che di partito, contrariamente al suo successore), il baricentro politico del governo si è decisamente spostato verso destra. La politica mediorientale; il favore fatto all’industria bellica, che un domani con tutta probabilità potrà esportare armi anche nei Paesi in preda a una guerra civile; ma anche la volontà di rendere più arduo l’accesso al servizio civile; o ancora, il ventilato riorientamento (più economia, più privato) della cooperazione allo sviluppo: “l’asse Plr funziona di nuovo”, idem la “banda dei quattro” (i due ministri democentristi più i due liberali-radicali) e “il Consiglio federale si appresta a superare a destra il Parlamento”, scriveva nelle scorse settimane il ‘Tages-Anzeiger’. Nota bene: un Parlamento che per metà (il Consiglio nazionale) già presenta una maggioranza assoluta di destra. Saranno gli elettori, nell’ottobre del prossimo anno, a correggere la situazione, a ristabilire un certo equilibrio?