In ogni caso, Matteo Salvini arriva tardi. Prima di lui provvidero i nazisti a censire, deportare e sterminare gli “zingari”
In ogni caso, Matteo Salvini arriva tardi. Prima di lui provvidero i nazisti a censire, deportare e sterminare gli “zingari”. È sufficientemente ignorante di storia quanto millantatore, da non arrivare a tanto. Già l’annuncio della volontà di censire i rom presenti in Italia (goffamente smentito in un secondo tempo e solo in parte) gli ha assicurato la dose quotidiana di doping mediatico; mentre non è ancora pensabile che potrà procedere alla seconda e terza fase del programma, se non altro perché esiste ancora un diritto che non gli riconosce la possibilità di farlo (benché abbia espresso l’intenzione di “cacciarli”, qualora risultassero irregolari).
Ma l’ignoranza e una certa (ben studiata) ruvidezza di carattere non valgono a giustificare le parole di un ministro dell’Interno. Non in un Paese che si vuole “civile”, perlomeno. Un ministro, va anche ricordato, a cui “fa schifo la ’ndrangheta”, ma che è risultato eletto in un collegio elettorale in cui l’attribuzione dei voti è in larghissima misura nelle mani della ’ndrangheta stessa. Sarà che i voti, “quei” voti, non si censiscono, si contano. I rom italiani – ha detto il responsabile politico della polizia, della sicurezza e dell’ordine pubblico – ci tocca tenerli; gli altri li espelleremo. I mafiosi italiani idem, quelli stranieri non votano…
Ma poiché dovrebbe bastare la sola evocazione di un censimento etnico (fosse pure una boutade) per generare una sollevazione contro chi lo annuncia, il fatto che questo non avvenga, e che, al contrario, cresca contestualmente il consenso dichiarato per chi propaga simili aberrazioni, dovrebbe far interrogare gli italiani – anzi, ogni italiano – su che cosa sta avvenendo nella loro storia. Su che cosa stanno consentendo che avvenga.
E d’altra parte bisogna essere lucidi. La fortuna di un Salvini non si deve al cielo (che casomai dovrebbe fulminarlo, vista l’empia ostensione del Vangelo su cui ha “giurato”) ma a un contesto preciso, che a una origine già lontana nel tempo assomma circostanze immediate. Queste ultime sono, da un lato, l’inconsistenza politica dei grillini suoi alleati di governo, ai quali Salvini ha sottratto ogni spazio di visibilità e di iniziativa; e uno scenario europeo nel quale la norma è ormai la frantumazione di qualsiasi forma di solidarietà o di sentire comune propri del dopoguerra, e dove si va definitivamente affermando l’ideologia dell’uomo forte, da Trump a Erdogan, da Putin a Orban. Salvini arranca dietro a loro e sgomita per “elevarsi” al loro rango.
L’origine più distante va invece cercata nei semi gettati dalla Lega nella pratica e nel linguaggio pubblico e politico. Germi di intolleranza e razzismo che – mentre la destra inventata da Berlusconi se ne serviva per assicurarsi il potere – sono cresciuti e si sono diffusi, finendo per risultare plausibili a palati incauti o interessati, fino a stabilire una egemonia culturale che lascerà il segno nel tempo a venire. Dovessimo limitarci al caso italiano, consapevoli naturalmente che il tempo non si succede in maniera identica, dovremmo dire che il fascismo cacciato dalla porta sta rientrando dalla finestra. Non a caso Salvini è stato pronto a difendere il tentativo dell’estrema destra (di nuovo, grazie alla grullaggine a cinque stelle) di intitolare una via di Roma al repubblichino Giorgio Almirante, convinto sostenitore delle leggi razziali e complice delle retate di ebrei nell’Italia di Salò, per limitarci a questo.
E casomai Salvini non lo sappia: il triangolo di identificazione dei rom nei campi di sterminio era marrone.