Sono in aumento i giovani che si sono fatti una famiglia e che a causa di disavventure economiche e/o personali, hanno dovuto fare ritorno dai genitori
La chiamano generazione boomerang. Una nuova generazione composta da figli che, dopo la formazione, hanno lasciato il nido per guadagnarsi la propria indipendenza grazie al lavoro che li porta altrove. Giovani che si sono anche fatti una famiglia tutta loro, sino al (brutto) giorno in cui, a causa di disavventure economiche e/o personali, hanno dovuto fare ritorno dai genitori. E, come è facile immaginare, a quel punto condividere i locali dei tempi che furono (della fanciullezza e dell’adolescenza, spesso rimasti intatti quasi fossero musei) con gli anziani genitori si rivela impresa tutt’altro che facile. Perché per chi riapre la porta di casa al ‘reduce’ spesso è come se il figlio non fosse mai del tutto cresciuto. Così, in taluni casi, i genitori tornano ad esercitare un controllo indesiderato e inadeguato con domande nutrite dalle vecchie apprensioni: esci? dove vai? a che ora torni? con chi passi la serata?
Questo (imprevisto, indesiderato, ma obbligato) rientro a casa è un fenomeno sociale in aumento un po’ ovunque, anche in Svizzera. Una recente inchiesta del quotidiano ‘Le Temps’ lo ha evidenziato.
Il motivo? Più di uno. Sulla generazione boomerang si sommano diverse fragilità. La principale – e anche la più classica – è quella di carattere economico, dovuta alla perdita del posto di lavoro o al provento del lavoro non più sufficiente per sbarcare il lunario, quando le economie domestiche diventano due perché la coppia si divide. Le separazioni e i divorzi, lo si sa, sono in aumento e siamo a un matrimonio a pezzi su due.
Inciampi della vita che possono anche farti ritrovare quasi al verde e portarti a decidere di tornare sui tuoi passi fra i sicuri e più economici (!) muri di casa. Non da ultimo il rientro è favorito anche dal fatto che in certe città i costi dell’alloggio sono alti e tutto fila liscio finché si lavora in due, ma poi...
Dato pure nuovo, a detta di ‘Le Temps’, è l’età di chi bussa al vecchio focolare. Si tratta di persone sempre più mature (sui 40/50 anni) che già ci hanno impiegato del tempo prima di decollare e che hanno formato famiglia solo dopo i trenta. Così anche l’età di chi ritorna pesa sul boomerang perché le abitudini prese devono combaciare con quelle di genitori avviati verso la terza età e non è sempre il caso.
Una fotografia sociale, quella proposta dal quotidiano romando, che ci presenta infine anche un altro dato: che a farne le spese e a trasformarsi in generazione boomerang sono più facilmente le classi sociali meno abbienti che, probabilmente, non riescono a dare una mano per tenere a galla chi va sott’acqua per poi magari riemergere.
L’aspetto positivo di questo fenomeno (volendo vedere il bicchiere mezzo pieno) è quello della riscoperta del nucleo familiare, degli affetti, che alla fin fine è ciò che conta nella vita. Un porto a cui approdare nella bufera anche se, come detto, la famiglia lasciata anni prima e quella che si ritrova anni dopo non è più la stessa. Perché ciascuno evolve e invecchia.
Sarebbe bello sapere, ma questo dato manca, quanti rimangono poi definitivamente a casa dei genitori e quanti – dopo aver ritrovato un equilibrio economico – sono poi pronti a rifare fagotto dopo qualche mese. Insomma, la famiglia intesa come campo base, indipendentemente dal generoso stato sociale, resta sempre un approdo sicuro per chi ce l’ha.
Una sorta di assicurazione contro ogni rischio. La sola gratuita e qui sta il suo bello.