C'è ben poco da celebrare: quella dell'8 marzo è una giornata per ricordare che il genere femminile è ancora discriminato. Anche in Ticino
Oggi un gruppo di donne si è dato appuntamento a Bellinzona. Sfileranno lungo Viale Stazione e si fermeranno in alcuni punti della capitale. Non lo faranno per approfittare dell’aperitivo offerto nel bar dell’angolo, dell’entrata gratuita nel locale alla moda, dello sconto sul trucco da giorno nel salone di bellezza, in occasione della festa della donna. No, lo faranno per rivendicare la fine delle discriminazioni di ogni genere e delle violenze contro le donne; per dire basta agli stereotipi, alla commercializzazione del corpo femminile, alla discriminazione nel lavoro e nella società. Tutto questo in occasione della giornata internazionale della donna.
Che ha ben poco a che vedere con una festa. È una giornata di rivendicazione e di sensibilizzazione dedicata alle donne. Perché ancora oggi, in Ticino come in moltissime altre parti del mondo, c’è chi sostiene che la discriminazione non esiste. Eppure abbiamo tutti un’amica, una sorella o una compagna che, rientrata dal congedo maternità, non ha più trovato le stesse condizioni di lavoro. Sappiamo, o dovremmo sapere, che la polizia deve troppo spesso intervenire per casi di violenza domestica anche nel nostro cantone. E i cartelloni che pubblicizzano qualsiasi tipo di prodotto attraverso il corpo nudo e ammiccante di una donna, sono sotto gli occhi di tutti.
Chissà perché allora c’è chi fa così fatica a vederla, questa disparità che ci coinvolge tutti. A volte sono le stesse persone che sostengono che ci sono anche uomini discriminati, sottopagati e maltrattati. Come se la lotta contro le ingiustizie non portasse benessere a tutta la società. Le donne e gli uomini che s’incontreranno oggi a Bellinzona e in ogni parte del mondo non lo faranno per scambiarsi gli auguri, ma per rinsaldare un patto: per ricordare che i diritti delle donne sono innanzitutto diritti umani, riconosciuti a livello internazionale, oltre che dalla nostra costituzione. Rivendicarli non dovrebbe quindi essere una scelta, ma un dovere di ogni cittadino e di ogni politico che lo rappresenta. Perché migliorare la vita delle donne significa contribuire a cambiare il mondo.