“Uccideteli e poi interrogateli” ordina ai suoi uomini, colto da un raptus di rabbia nel disperato tentativo di sconfiggere la resistenza, il colonnello tedesco Ehrhardt nel film di Lubitsch “Essere o non essere”. La polemica sul rapporto redatto dall’Ire sul mercato del lavoro in Ticino dopo l’accordo sulla libera circolazione delle persone, ricorda nella sua dinamica il celebre passaggio della pellicola umoristica. Parte della classe politica insorge, voci si alzano per chiedere la chiusura dell’Istituto, perché l’analisi economica e statistica non coincide con il (pre) giudizio politico e ideologico. In sostanza il parlamento commissiona uno studio per conoscere la realtà di un Paese in una situazione complessa. Ma l’analisi scientifica e le sue conclusioni vengono respinte in blocco a priori da un numero importante di politici e opinionisti. Lo studio, come ormai noto, evidenzia delle tendenze sostanzialmente positive del mercato del lavoro in Ticino (crescita, occupazione – benché questa rimanga inferiore alla media svizzera, ma simile ad esempio a quella di Ginevra) dicendoci che non vi è un fenomeno statisticamente rilevante di sostituzione da parte della manodopera straniera e in particolare di quella frontaliera che è in forte crescita.
Detto fuori dai denti: gli italiani non ci “rubano” il lavoro. Il tasso di disoccupazione risulta in discesa o più o meno stabile a seconda dei metodi di calcolo. Il problema occupazionale, si legge nella ricerca, esiste certamente, riguarda però in particolare l’accesso al mercato del lavoro da parte della popolazione residente, la cui formazione professionale risulta essere più bassa di quella dei lavoratori stranieri. Tema fondamentale questo sul quale imbastire un discorso e una politica coerente dovrebbe costituire un imperativo.
Un documento come quello dell’Ire dovrebbe essere uno strumento di riflessione e dibattito per la classe dirigente e per l’opinione pubblica. Succede invece il contrario: la polemica si scatena e la riflessione – indispensabile per il futuro del cantone – si inabissa nei fondali dei pregiudizi e del prêt-à-porter ideologico, delle frasi fatte, della pigrizia mentale. Come se si preferisse – perché più rassicurante e semplice – il continuo lamentio (il povero Ticino da tutti incompreso, con i suoi giovani costretti ad “emigrare” nel resto della Svizzera – lo si è recentemente potuto leggere – come se la frontiera fosse ormai disegnata lungo il San Gottardo) a un confronto serio e articolato. Anche a costo di contrastare, contestare e smentire, ma con serietà e ponderatezza, le analisi dell’Istituto di Ricerche Economiche. Altrimenti questa ennesima tempesta in un boccalino dimostrerà solo quanto poco utile sia per il Canton Ticino essersi dotato di un Istituto Universitario.