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‘È la variabile delle maggioranze politiche a contare di più’

Quando c’è da applicare il diritto internazionale sul piano cantonale ognuno ha la sua ricetta. Col professor Maggetti analizziamo cause e conseguenze

(Keystone)
19 novembre 2024
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Il Ticino è un esempio positivo per quanto riguarda il riconoscimento della lingua dei segni. Ginevra e Appenzello Interno sono in avanti per quanto riguarda l’abbattimento delle discriminazioni sui diritti politici. Basilea Città ha approvato una legge specifica sull’uguaglianza per le persone con disabilità, Ginevra si appresta a farlo. Benché la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità debba essere rispettata sia a livello federale che dai 26 Cantoni – al pari di tutti gli accordi internazionali ratificati dalla Confederazione –, dopo 10 anni dalla sua entrata in vigore la relativa applicazione ha subito un destino molto variabile. Si tratta di un’eterogeneità che non stupisce affatto il professore di scienze politiche all’Università di Losanna Martino Maggetti, tra gli autori dello studio “Les cantons face au droit international” - I Cantoni di fronte al diritto internazionale (Savoir Suisse, ottobre 2024), che analizza come questi ultimi mettano in pratica le disposizioni contenute in trattati che implicano degli obblighi specifici a livello cantonale. Tre i casi approfonditi: la citata Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne (detta anche Convenzione di Istanbul), e la protezione dei dati ai sensi di Schengen, nell’ambito dunque degli Accordi bilaterali tra Svizzera e Unione europea.

Grande distanza percepita dai parlamentari

I ricercatori non sono stupiti dalla grande eterogeneità constatata «da un lato per il fatto che in Svizzera non esiste un protocollo predefinito e automatico per l’applicazione dei trattati internazionali, dall’altro per la struttura stessa che caratterizza il federalismo del nostro Paese, fortemente decentralizzata, in cui il ruolo dei Cantoni è particolarmente preminente – rileva Maggetti –. Ci aspettavamo di trovare variazioni in base a fattori come le risorse finanziarie a disposizione, l’expertise presente tra gli attori cantonali che può variare anche in relazione alla dimensione del cantone, nonché l’aspetto delle maggioranze politiche che possono essere più o meno favorevoli ad accogliere degli obblighi che derivano dal diritto internazionale, e così è stato. Ciò che invece è risultato più sorprendente è che esiste la percezione di una distanza più elevata di quanto pensassimo da parte degli attori cantonali, in particolare dei parlamentari, rispetto a questi trattati, alla loro esistenza e al loro carattere obbligatorio che raramente viene percepito come tale».

Il ruolo preminente dei funzionari e della società civile

E infatti non sono in primo luogo i granconsiglieri ad attivarsi per applicare tali testi di diritto internazionale secondo i principi legislativi cantonali, nonostante formalmente siano loro i destinatari: «A muoversi per primi sono spesso dei funzionari delle amministrazioni cantonali – dice il professore di scienze politiche –, quelli che chiamiamo specialisti di politiche pubbliche settoriali, i quali sia grazie alle loro maggiori competenze tecniche rispetto ai parlamentari che sono generalisti, sia per interesse, conoscono molto meglio questi trattati e li vedono come opportunità – non quindi come costrizioni – per mettere in agenda e far avanzare le politiche pubbliche che fanno parte delle loro priorità. Si tratta in particolare di persone che negli uffici cantonali si occupano di questioni legate all’uguaglianza, alla diversità, all’inclusione. Ad esempio grazie alla ratifica della Convenzione di Istanbul alcuni di questi specialisti sono riusciti a far valere una doppia legittimazione per rinforzare gli strumenti di procedura penale e di protezione contro la violenza domestica, le strutture di accoglienza per chi ne è vittima, le misure di prevenzione».

Restando nell’ambito dei trattati che riguardano i diritti umani, lo studio mostra come una spinta considerevole venga spesso anche dalle associazioni della società civile che, come sottolinea Maggetti, sono a contatto col terreno e possono aiutare a sviluppare i primi brogliacci o delle buone pratiche da seguire, ma anche dare una spinta dal basso alla macchina istituzionale. Per l’attuazione dei piani contro la violenza domestica di cui si sono dotati alcuni Cantoni in modo più o meno articolato, tra cui il Ticino, le associazioni e i gruppi di militanti hanno svolto un ruolo rilevante, soprattutto nel contesto caratterizzato dallo sciopero delle donne del 2019 che tra le richieste portava la messa in atto della Convenzione di Istanbul. Dallo studio risulta anche che talvolta i Cantoni sviluppano approcci innovativi all’attuazione dei diritti umani, li sperimentano e ispirano altri Cantoni in una dinamica da laboratorio federale virtuosa. «In questi ambiti si constata l’importanza di attori che facciano un lavoro di intraprendenza politica e rendano i trattati rilevanti localmente. Senza specialisti di politiche pubbliche nelle amministrazioni e movimenti della società civile, il rischio è che nei Cantoni succeda ben poco», constata Maggetti, che però aggiunge: «In ogni modo, nonostante il loro agire sia fondamentale, alla fine quando si deve veramente decidere se adottare una nuova politica pubblica, se riformare il sistema, se aumentare le risorse, insomma se e come incorporare il diritto internazionale sul piano cantonale, la variabile relativa alle maggioranze politiche è quella che conta».

Più particolare è il caso della protezione dei dati nell’ambito degli Accordi di Schengen per cui la Conferenza dei governi cantonali ha creato un gruppo di lavoro dedicato al tema e ha preso in carico una parte importante del lavoro di applicazione fornendo alle autorità competenti istruzioni chiare sulle procedure da seguire. Questo ha dato luogo a una più grande efficienza nell’implementazione, a un panorama di maggior uniformità e a un minor margine di manovra dei parlamentari. Tale dinamica più marcatamente discendente è stata dettata da un lato dal timore delle conseguenze, anche di tipo economico, che potrebbero derivare da una possibile rescissione degli Accordi in caso di una mancata messa in atto delle norme prescritte, dall’altro «dal fatto che quello della collaborazione tra polizie è un tema molto tecnico e ci sono meno coalizioni di attori che si interessano direttamente a questo processo», osserva Maggetti, che pertanto conclude: «Oltre che dai Cantoni, il modo di applicazione dei trattati internazionali dipende anche fortemente dalla loro natura».

Il punto sul Ticino

Persone con disabilità e violenza sulle donne

Che tipo di attuazione c’è stato finora in Ticino per gli altri due testi, con quali risultati e perché accrescerla è importante? Per quanto riguarda la Convenzione dei diritti delle persone con disabilità (Cdpd) che riconosce innanzitutto il principio della non discriminazione ma anche delle “discriminazioni positive”, ovvero di misure specifiche necessarie ad accelerare o garantire l’uguaglianza de facto delle persone con disabilità, «in questi 10 anni l’azione nei diversi contesti – mobilità, accessibilità (dei luoghi, dei servizi e dell’informazione), educazione, salute, lavoro, garanzia di adeguati livelli di vita, partecipazione – è stata diversificata, anche perché una serie di principi era già riconosciuta dalle Costituzioni svizzera e ticinese, rispettivamente da alcune leggi federali e cantonali», spiega Manuele Bertoli, copresidente Pro Infirmis Svizzera ed ex consigliere di Stato. In particolare, rileva Bertoli, «il settore della mobilità ha visto potenziare e rendere accessibili gran parte dei trasporti pubblici. Sforzi nel senso dell’accessibilità dei luoghi aperti al pubblico, dei servizi e dell’informazione, soprattutto tramite i canali digitali, sono stati fatti. Il principio dell’inclusione nel sistema educativo è stato significativamente sostenuto. Progetti e iniziative inerenti all’inclusione nel mondo del lavoro sono stati implementati. Da segnalare anche l’adozione nel 2022 di un articolo costituzionale sulla necessità di offrire una comunicazione pubblica in lingua facile e sul riconoscimento della lingua dei segni. Ma naturalmente si può e si deve sempre fare di più e meglio», dice Bertoli, specificando che «nel 2022 l’organo incaricato di vegliare sull’applicazione della Cdpd ha formulato nei confronti della Svizzera un’ottantina di raccomandazioni proprio su come migliorarne l’attuazione».

Bertoli: frena l’idea di investire per una piccola parte di popolazione

Quanto agli attori che hanno dato maggior impulso, «ogni misura ha avuto un suo iter particolare, a volte sulla base di una spinta politica, a volte sulla base di suggerimenti provenienti dal territorio e dalle organizzazioni delle persone disabili», considera Bertoli, che ricorda come lo scorso mese di giugno sia stata organizzata per la prima volta in Ticino una sessione parlamentare delle persone con disabilità, «un’occasione nella quale è stata messa a punto una serie di richieste al Cantone e ai Comuni che si inseriscono nel processo di miglioramento della situazione nei contesti sopra ricordati. Alcune risposte sono già arrivate, segnatamente quella del Consiglio di Stato, attendiamo ancora quella del Gran Consiglio e quelle di alcuni Comuni per capire se esista una reale volontà di fare passi avanti». Nonostante i passi avanti evidenziati, tutti i contesti elencati fanno ancora l’oggetto di richieste specifiche, sottolinea l’ex consigliere di Stato, che mette in luce come il problema principale che talvolta si pone, almeno per una parte delle richieste, «è quello finanziario, nel senso che non di rado si ritiene irragionevole investire risorse importanti a favore di una piccola parte della popolazione. Ma le sensibilità cambiano nel tempo e quello che appariva irragionevole vent’anni fa non è detto che oggi appaia ancora come tale. Da qui la necessità di mantenere la pressione quanto alle richieste – commenta Bertoli – adattandole anche al mutamento dei bisogni effettivi».

Giuria: serve formare, armonizzare, sensibilizzare maggiormente

Per quel che concerne la Convenzione di Istanbul, entrata in vigore in Svizzera il 1° aprile 2018, «l’aspetto interessante è che finalmente si è riusciti a costruire un ponte più solido dal punto di vista della comunicazione tra le istituzioni e la società civile che ha il polso della situazione sui problemi e i bisogni reali delle donne» premette Gabriela Giuria, responsabile sviluppo progetti per la Fondazione Diritti Umani. In questo contesto si inserisce l’adozione da parte del Consiglio di Stato ticinese, nel novembre 2021, di un Piano d’azione cantonale sulla violenza domestica che per la prima volta definisce una strategia di prevenzione e contrasto a tale fenomeno. Pur ritenendo sia trascorso troppo poco tempo dalla sua elaborazione per valutarne gli effetti, Giuria giudica favorevolmente il tentativo di collaborazione tra i diversi dipartimenti chiamati in causa – Di, Dss e Decs – nell’ottica di una miglior armonizzazione degli interventi, che però deve essere maggiormente incentivata: «È necessario puntare sulla formazione di tutte le figure professionali che possono entrare in contatto con questo fenomeno molto ampio, che spesso tocca anche i bambini e una comunità più estesa che ne soffrono. Da parte di assistenti sociali, avvocati, personale di polizia, farmacisti – per questi ultimi è in corso proprio in novembre una formazione sul tema – la presa a carico deve essere il più efficace possibile per garantire che non ci siano vuoti nella gestione di situazioni molto delicate».

Tra le misure meno scontate messe in campo in Ticino, Giuria segnala ad esempio la possibilità per gli autori di reati violenti di venir accompagnati in un percorso riabilitativo. E ricorda: «Nella consultazione federale in merito alla promozione del concetto dell’assenso per la ridefinizione dello stupro, il Cantone ha sostenuto il cambiamento del Codice penale in tal senso contribuendo ad allineare la norma penale con quanto stabilito dalla Convenzione di Istanbul». Tuttavia l’applicazione del trattato in Ticino è ancora solo parziale: il nostro è tra quei Cantoni che limitano la loro politica pubblica alla sola violenza domestica e non alla violenza contro le donne in tutte le sue forme. Ce ne sono altri dotatisi di piani più ampi, altri ancora che contro la violenza domestica hanno elaborato una legge specifica, ma pure alcuni che non la ritengono un problema prioritario. «In generale sono necessari budget che permettano di sviluppare la sensibilizzazione su questi temi che sono ancora troppo poco trattati rispetto alle statistiche allarmanti», afferma Giuria. Proficuo, a suo parere, sarebbe poi ispirarsi al Canton Ginevra che ha inserito un apposito articolo di legge nella propria Costituzione cantonale il quale stabilisce dei meccanismi di controllo sull’attuazione dei diritti fondamentali. «Possono sembrare concetti astratti e lontani, ma in realtà sono molto concreti per chi subisce discriminazioni e violenza, non solo fisica ma anche psicologica, economica, sul posto di lavoro». Insomma, evidenzia Giuria, «la loro applicazione può incidere in modo determinante sulle esistenze delle persone più vulnerabili della nostra società».

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