L’impatto individuale e collettivo di catastrofi come le alluvioni spiegato da esperti in ambito psicologico e di supporto a vittime di eventi traumatici
«Perdere una casa, degli affetti, ma anche perdere la geografia dei luoghi che conosciamo e sono significativi per la nostra vita getta in una situazione di grande smarrimento. Non si tratta solo dello sconforto dovuto all’impotenza, all’impossibilità di poter fare qualcosa, ma di un vero e proprio smarrimento, ovverosia della sensazione di aver perso un fondamentale punto di riferimento, qualcosa di orientativo». Spiega con queste parole Nicholas Sacchi – già presidente dell’Associazione ticinese degli psicologi, lui stesso psicologo e psicoterapeuta –, la condizione in cui verosimilmente si trovano le persone più direttamente toccate dalle devastanti alluvioni che hanno colpito e distrutto negli scorsi giorni parte della Mesolcina prima e della Vallemaggia poi.
«Perdere la casa è una sensazione estremamente pervasiva, che mette in una dimensione anche di violenza e comporta il dover riorganizzare completamente la propria vita – articola Sacchi –. La casa è il nostro luogo intimo, il luogo che abbiamo costruito piuttosto che arredato secondo la nostra personalità, che parla della nostra storia individuale e familiare. E vederla distrutta o deturpata o vedere oggetti che non possono più essere usati o che sono andati smarriti, è un fattore che disorienta e può anche avere delle conseguenze spaventose perché mette a confronto con la caducità della vita e col fatto che niente è perenne». Ci si rende drammaticamente conto, dice Sacchi, che «solo il nostro ricordo, solo la possibilità di perpetrare nella nostra memoria gli affetti è imperitura, mentre qualsiasi vita e oggetto in sé è passibile di deterioramento e di distruzione».
Vivere in prima persona una catastrofe naturale genera innanzitutto la sensazione di impotenza cui accennava lo psicologo e psicoterapeuta: «Rendersi conto che sta avvenendo qualcosa di così macroscopico, imprevedibile e sotto certi punti di vista globale e collegiale in quanto interessa non solo noi stessi ma tutti quanti, ci confronta con l’impotenza, ci misura come esseri umani con la natura e col fatto che al suo cospetto abbiamo sì tutta una serie di strumenti – utili per anticipare e proteggerci da disastri, per fare della prevenzione –, ma ci sono anche delle situazioni su cui non ci è possibile intervenire in alcun modo».
Quanto alle conseguenze a livello psichico che un simile evento traumatico potrebbe creare, «la paletta è molto vasta – mette in luce Sacchi –. Bisogna in primo luogo prendere in considerazione che più un evento è imprevedibile, più ci getta in uno stato di allerta, di allarme, che per alcuni può essere estremamente alto, mentre per altri più contenuto o gestibile. In definitiva però le quote di ansia vengono sicuramente elevate». Queste, afferma Sacchi, «possono arrivare a ondate, e possono presentarsi nei momenti più disparati, specie in quelli in cui abbiamo bisogno di riposare. Quando magari riusciamo un po’ a staccare e non siamo nel vivo dell’azione, come può essere quella di recuperare oggetti o ricostruire, il corpo e la mente possono essere assaliti da ricordi, pensieri, flashback. In particolare alcuni elementi come il tempo atmosferico di un certo tipo, dei rumori, degli odori potrebbero metterci in una condizione di allerta seppur immotivata e anche se non sta per accadere effettivamente niente rimaniamo ipervigili».
Si tratta di un’ansia «correlata all’idea di doversi distaccare da qualcosa o qualcuno, da quello che era un tempo e ora non può più essere perché una casa è stata portata via, una persona è scomparsa, degli oggetti significativi non ci sono più. Bisogna dunque fare i conti anche con delle sensazioni luttuose, con la necessità di doversi distaccare da qualcosa da cui non ci si sarebbe voluti staccare o non si sarebbe immaginato di farlo in un simile modo». Ciò, evidenzia lo psicologo, «fa partire un processo che nel lutto è molto importante e cioè l’accettazione del tentativo di riuscire comunque ad andare oltre l’evento nonostante sia stato molto invadente nella propria biografia».
Rispetto invece alle conseguenze sul piano del tessuto sociale, il privilegio delle piccole comunità come quelle toccate dalle catastrofi dei giorni scorsi alle nostre latitudini «è quello di essere molto unite, di basarsi ancora molto sullo scambio e l’interazione», considera Sacchi. «Non conosco esattamente le comunità colpite, ma l’auspicio è che quando si è tutti quanti preda di qualcosa di così terribile si privilegi la solidarietà, il gruppo, l’unione e la volontà di perseguire l’intento comune di risorgere, di attuare tutto quello che è necessario dandosi una mano con estrema solidarietà ed equilibrio. Così da potersi riaggregare come comunità e soprattutto riprendere la marcia della propria vita nella maniera più serena possibile».
«L’idea iniziale era di andare sul posto e allestire dei presidi, ma durante la mattinata sono fioccate le richieste di persone che non stavano bene e quindi i nostri collaboratori si sono recati direttamente da loro». È martedì, il terzo giorno dopo le violente alluvioni che hanno devastato la Vallemaggia, quando il Care Team Ticino inizia a fornire supporto anche nelle zone più colpite da frane ed esondazioni, in alta valle. Da domenica il servizio cantonale che interviene d’urgenza a supporto delle vittime di un evento traumatico è sul terreno, coadiuvato dal Supporto peer della Polizia cantonale, con 13 persone tra psicologi e caregiver. Servizio che era stato attivato anche dopo il nubifragio in Mesolcina. Riprende il suo coordinatore Massimo Binsacca: «Inizialmente in Vallemaggia ci siamo occupati dell’accoglienza delle persone che sono state evacuate. Si trattava più che altro di chiedere come stavano, segnalare che eravamo presenti, dare loro anche solo un bicchiere d’acqua. La maggior parte è poi stata presa a carico dai parenti o dagli amici, e alcune sono state trasportate alla stazione di Locarno o in altri luoghi».
Il Care Team Ticino è costituito da un gruppo di persone volontarie incorporate nella Protezione civile, specializzate e formate negli interventi psico-sociali d’urgenza, e si occupa di chi ha potenzialmente vissuto un evento traumatico. In questo caso di coloro che hanno assistito all’alluvione, sono rimasti isolati o hanno perso dei cari. «Andiamo sul posto, ascoltiamo il loro vissuto, cerchiamo di far elaborare le emozioni e i sentimenti che provano e di far capire loro che se si sentono arrabbiati o tristi, se non mangiano o non dormono, stanno vivendo delle reazioni naturali causate da un evento traumatico e non stanno impazzendo – dice Binsacca –. Cerchiamo poi di dare dei consigli su come affrontare i giorni a venire, durante i quali siamo comunque ancora a disposizione se qualcuno ha bisogno. Banalizzando, siamo il buon amico che ti sta vicino in un momento particolare e conosce le tecniche di comunicazione adeguate alla situazione».
Rispetto a domenica, ora che gradualmente si stanno ripristinando le comunicazioni e in parte l’accesso all’elettricità e all’acqua potabile, gli abitanti e i familiari sono un po’ più sollevati, considera Binsacca. Ma un sostegno rimane fondamentale anche a distanza di giorni, in particolare per chi è stato maggiormente coinvolto in prima persona. «Chi si è spaventato perché ha assistito a una frana, ha visto il livello del fiume alzarsi, si è sentito in pericolo o non ha più notizie di una persona cara, ha bisogno di elaborare il trauma».
Le possibili conseguenze nel tempo sono difficili da valutare, dichiara il nostro interlocutore: «Quando il livello di stress rimane alto e perdura indicativamente per quattro settimane, è necessario alzare le antenne e consultare uno specialista. Ad esempio se una persona non dorme per tre notti, poi dorme meglio per una, in seguito non dorme per altre due, ma poi torna a dormire meglio, siamo di fronte a un processo ondivago che indica che si sta entrando in una fase di normalizzazione. Se invece il livello di stress fa sì che una persona non chiuda occhio per quattro settimane è un campanello d’allarme a cui dare ascolto».
La permanenza sul luogo dell’evento traumatico dipende dall’evoluzione della situazione: «Qui in Vallemaggia è possibile che tra una settimana o due siamo ancora sul campo perché serve un intervento collettivo sulla popolazione». Il Care Team Ticino offre infatti anche questo tipo di servizio, evidenzia il coordinatore: «Accogliamo in gruppi le persone che hanno vissuto la stessa situazione e analogamente a quanto facciamo sul piano individuale diamo spazio alla parola e all’ascolto, e spieghiamo con la psico-educazione quali sono le reazioni naturali che il corpo può esprimere. Lo scopo è di tranquillizzare e aiutare a elaborare l’esperienza anche a livello di comunità».