Dopo il brutale omicidio di un 17enne a Pescara a opera di due 16enni si torna a parlare delle cause della violenza giovanile. Il parere dell'esperto
Un delitto atroce, per motivi futili, un debito da 250 euro legato probabilmente a un giro di spaccio di stupefacenti: l'omicidio di Christopher Thomas Luciani, il 17enne ucciso domenica 23 giugno, in un parco di Pescara a coltellate da due 16enni ha riacceso, se mai si fosse spento, il dibattito sulla violenza giovanile e sui suoi esiti spesso tragici. Uso di droghe e psicofarmaci, "cattivi maestri" in Rete, assenza di un'educazione in seno alla famiglia: una serie di spiegazioni che, regolarmente, vengono prese in considerazione di fronte a casi simili. Ma cosa, o quanto c’è di vero in queste analisi? Ne parliamo con il medico psichiatra Andrea Politano.
«Partiamo dal presupposto che il legame fra criminalità e psichiatria in realtà è sempre molto blando – spiega l'esperto –: nonostante sia un collegamento molto “gettonato” nelle aule di tribunale come attenuante per eventuali crimini, in realtà può essere valido per casi isolati. Spesso, purtroppo, la malattia mentale viene direttamente associata alla violenza, ma non è così. Ci sono, sì, dei rischi, ma sono più l'eccezione che la regola e dipendono molto dalla persona: non c’è una diagnosi che prevede nel suo contesto la violenza. Ad esempio è possibile che una persona affetta da psicosi, che vede il mondo completamente ostile nei suoi confronti, possa arrivare alla fine a reagire con violenza; ma è necessario che di base sia presente un temperamento violento che non ha direttamente a che fare con la diagnosi psichiatrica. Altre persone con questo tipo di problema magari si chiudono in sé stesse o reagiscono cercando aiuto da medici e istituzioni. Insomma, non c’è una malattia che “causa” violenza né una terapia in grado di eliminarla con sicurezza».
Come spiegare, allora, una simile ferocia in ragazzi così giovani? «Nel caso di questi ragazzi di Pescara è difficile dire che tipo di problematiche psichiatriche potessero essere eventualmente coinvolte. Si è detto che uno di loro aveva tentato il suicidio, che era “imbottito di psicofarmaci”, una classica espressione di chi purtroppo diffonde pericolosi pregiudizi. Bisognerebbe riconoscere la sofferenza della persona, vedere il contesto familiare, ma anche ricercare il problema in altri fattori, ad esempio nell’uso di sostanze: alcune possono aumentare il rischio di violenza senza che però veramente ci sia una relazione diretta. Si parla in particolare di cocaina e alcol, ma anche i cannabinoidi e gli ansiolitici – questi ultimi, se abusati –, controintuitivamente possono disinibire al punto da stimolare una persona che già di base può avere un temperamento violento ad agire. In generale, non bisognerebbe sempre cercare una spiegazione in ambito patologico, ma occorre lasciar lavorare la giustizia. In effetti, una diagnosi che prevede di fatto atti criminali c’è, ed è il disturbo antisociale di personalità; ma qui siamo appunto al confine con un problema di ordine sociale: è caratterizzato dal disinteresse al conformarsi alle regole, da un egoismo che non considera le necessità degli altri, da un comportamento disonesto, da una scarsa capacità o disinteresse nel valutare il rischio per sé e per gli altri. Si tratta comunque di un tipo di problematica per la quale un approccio medico o psicologico può essere solo di supporto a un intervento di rieducazione e contenimento sociale».
Si è detto spesso che i ragazzini di oggi sono influenzati negativamente dai videogiochi o dai social. È un’interpretazione corretta?
Secondo me è corretto dire, come hanno fatto altri, che una possibile fonte del disagio giovanile può essere l’esposizione precoce e massiva al virtuale, cioè il fatto che questi ragazzi hanno accesso a una infinità di informazioni e stimoli emotivi che possono ragionevolmente confondere chi non ha già sviluppato uno spirito critico. Si dà spesso la colpa ai videogiochi, ma ritengo che questa idea sia del tutto infondata: questi possono essere a volte uno sfogo e a volte un segnale, ma praticamente mai una causa. Credo invece che il problema venga piuttosto dall'utilizzo che si fa oggi di internet. Questi ragazzi sono nati e cresciuti con la disponibilità, tramite internet, di alternative sia informative sia, soprattutto, emotive immediate rispetto alle complesse relazioni umane tra familiari e tra pari: una volta si rimediava alla frustrazione con la pazienza, con la ricerca di strategie alternative di tipo relazionale, ora invece si cerca una soluzione online. Se, ad esempio, accade un litigio con i genitori, si va a cercare chi la pensa come te, e lo si trova: perché si trova di tutto, si trovano cose meravigliose e cose terribili. C'è questa fretta, molto istintiva, di trovare una soluzione che nel mondo in cui abbiamo vissuto noi adulti non c'era, ed eravamo un po’ obbligati a imparare a riflettere e pianificare. Oggi c’è troppa fretta, troppa velocità, troppo rumore.
Si dà spesso la colpa ai trapper e ai loro presunti messaggi violenti. Cosa ne pensa?
Rientra nello stesso discorso: il mezzo principale di queste persone è solo marginalmente la musica, mentre lo sono molto di più i social. In ogni caso si muovono tramite internet. Sono persone che vanno a rastrellare ogni briciola di insoddisfazione dei ragazzi per il loro tornaconto. Magari alcuni di questi vengono davvero da un vissuto di sofferenza autentica, ma tutti ne vengono fuori con un meccanismo egoista che ha le stesse caratteristiche di molte truffe a schema piramidale, e il materiale della truffa non sono i soldi ma le vite: imitami, osservami (e quindi indirettamente pagami) e vedrai come si diventa ricco e felice; il messaggio di base è che si è sempre vittime e quindi tutto è lecito. Il bersaglio, come già detto, sono ragazzi che non hanno avuto ancora il tempo di sviluppare uno spirito critico o che per ragioni soggettive o esperienziali faticano a svilupparlo. Alcuni possono essere più fragili e vulnerabili di altri, ma diventa sempre più difficile per tutti. Genitori inclusi, per cui non è facile competere con chi ha uno studio multimediale e tanto tempo a disposizione.