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‘Illusorio fermare predazioni col fucile, servono altre misure’

Gli allevatori continuano a soffrire per effettivi e potenziali attacchi dei lupi. In molti: ‘Abbattimento preventivo’. Ma c’è chi chiede altre soluzioni

In Svizzera, secondo ‘Schweiz Aktuell’ (Srf), nei primi 9 mesi dell’anno i capi predati sarebbero diminuiti del 29%. Un calo si registrerebbe pure in Ticino. ‘Ma basta un solo attacco per rovinarci’
(Keystone)
25 ottobre 2023
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«È illusorio credere che il solo abbattimento di un maggior numero di lupi possa risolvere il problema delle predazioni. Il Ticino non è un’isola felice in Europa e anche se il numero di predatori viene ridotto al massimo ne basta uno per creare gravi danni. Il mio timore è che se si va verso una massiccia regolamentazione dei branchi poi vengano a cadere tutti i sostegni pubblici per le misure di protezione, e che ancora più di oggi gli allevatori si ritrovino abbandonati al loro destino». Le parole sono di Flavia Anastasia che assieme al suo compagno gestisce una fattoria a Claro in cui vivono circa 200 capre da latte. Capre che passano l’estate sull’alpe di Montoia, in zona Gambarogno, da ormai dieci anni. L’ultima stagione è però trascorsa in modo radicalmente diverso dalle precedenti. «Circa due settimane prima che salissimo per l’estate un lupo ha attaccato delle pecore che pascolavano esattamente sul nostro alpeggio uccidendo più della metà del gregge. Di 33 esemplari ne sono rimasti 14». La necessità di prendere delle contromisure, su cui la coppia rifletteva già da mesi, si è dunque imposta. «Ho deciso di passare dal ruolo di casara, quindi produttrice di formaggio, a quello di pastora, assumendo una persona al mio posto. L’ho fatto per poter trascorrere più tempo a gestire le capre in modo da tenerle maggiormente unite per portarle più facilmente in stalla dove abbiamo iniziato a chiuderle tutte le notti per la loro sicurezza, dato che il nostro alpeggio è impossibile da cintare». Una soluzione che ha comportato una serie di problemi.


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In Svizzera, secondo ‘Schweiz Aktuell’ (Srf), nei primi 9 mesi dell’anno i capi predati sarebbero diminuiti del 29%. Un calo si registrerebbe pure in Ticino. ‘Ma basta un solo attacco per rovinarci’

In primis, spiega Anastasia, «gli animali si sono trovati a dormire nelle loro deiezioni, mentre queste prima venivano assorbite dal prato così da isolarli dall’umidità e dal freddo. Al mattino poi si svegliavano con le mammelle molto sporche per cui è stato necessario più lavoro di pulizia prima della mungitura. Nonostante gli sforzi però il latte risultava comunque più sporco e di minor qualità». Un terzo fattore negativo è che tutto il letame prodotto di notte ha iniziato ad accumularsi nella stalla: «Non c’era la possibilità di spargerlo con una carriola sui pascoli perché la zona è molto impervia».

Un’altra misura che Anastasia ha provato ad adottare è quella dei collari ai feromoni. Sviluppati da due ricercatori svizzeri – l’etologo ticinese Federico Tettamanti e il chimico romando Davide Staedler – questi strumenti da mettere al collo degli animali al pascolo emettono un odore che dovrebbe far allontanare i lupi. Durante la stagione sono stati sperimentati in una trentina di pascoli di montagna: delle predazioni ci sono state, ma i risultati complessivi sono da analizzare. «Qualche mese fa siamo venuti a conoscenza di questo progetto e abbiamo deciso di testarlo», dice Anastasia, che una delle prime sere all’alpe ha provato a lasciare le capre fuori accanto alla cascina: «Alla una di notte le ho sentite correre avanti e indietro. Sono uscita subito con la pila e ho visto il lupo. Penso che la concomitanza di fattori quali la mia voce, l’illuminazione e l’odore dei feromoni abbia fatto capire al lupo che era troppo pericoloso avvicinarsi e non lo abbiamo più visto. Comunque da quel momento non abbiamo più provato a lasciare gli animali di fuori la notte». Secondo Anastasia tutti gli strumenti che possano contribuire alla salvaguardia degli animali da reddito sono importanti. Tuttavia questi collari da soli non risolveranno la situazione: «Non sono da intendere come qualcosa da applicare alle capre per lasciarle completamente incustodite, perché comunque il lupo capisce dove c’è una gestione o meno del gregge».

‘Migliorare il sistema degli aiuti per assumere personale ausiliario’

Per l’allevatrice, tra i problemi urgenti da risolvere vi è «la mancanza di collaborazione in senso stretto con l’Ufficio caccia e pesca. Non abbiamo sufficientemente idea di dove si trovino i predatori. Dall’Ufficio arrivano sms di notifica solo se c’è una predazione o se qualcuno di esterno ha fatto un avvistamento. Dei lupi immortalati dalle fototrappole invece generalmente non si sa nulla. Così non abbiamo modo di capire se il predatore è nei dintorni, se resta alla larga, se è partito». Andando al di là della visione dominante nel settore che chiede principalmente di decimare i predatori, a parere di Anastasia «è innanzitutto necessario che finalmente tutti gli uffici competenti e il governo, soprattutto federale, capiscano quali sono i nostri reali bisogni. Sono necessari degli aiuti mirati vista la nuova situazione che si è creata. Servono altre misure che supportino il nostro benessere e quello animale. Ad esempio di notte non dormiamo più così bene perché abbiamo la stalla accanto al letto e a ogni movimento delle capre ci svegliamo per andare a vedere se c’è qualche problema. Le autorità devono capire che la nostra qualità di vita è peggiorata e che abbiamo più lavoro. È fondamentale che possiamo continuare a godere degli aiuti finanziari per il personale ausiliario ma anche che ne venga migliorato il meccanismo di stanziamento perché di stagione in stagione non si sa mai se saranno ancora disponibili e se arriveranno per tempo. Quest’anno ho avuto la conferma che potevo pagare un pastore per affiancarmi solo quando avevamo già caricato l’alpeggio».

‘Enorme carico di lavoro in più, e perdite’

Altro aspetto da tenere in considerazione, rileva la nostra interlocutrice, è il fatto che le capre normalmente hanno un ciclo diurno di pascolo, vengono munte la sera e in seguito riportate al pascolo perché hanno ancora bisogno di mangiare per diverse ore: «Un tempo la sera potevano farlo fino a sazietà, poi si sdraiavano sull’erba per riposare e al mattino rientravano per la mungitura. Quest’anno abbiamo anticipato la mungitura della sera per poter ancora uscire e rientrare prima che facesse buio. Anche questo ci ha causato molto più lavoro: non andava più fuori solo una persona la sera, ma due. Senza contare che le capre avrebbero mangiato più a lungo rispetto al momento in cui le portavamo in stalla. La minore assunzione di alimento ha comportato una minor produzione di latte e quindi per noi una perdita».

‘Investimenti per adeguare le infrastrutture’

Riguardo al benessere animale, prosegue Anastasia, «bisogna rendersi conto che le strutture d’alpeggio non sono state pensate per tenervi chiuse le capre tutte le notti, sono state pensate per il momento della mungitura o per l’emergenza delle notti in cui piove. Quindi se col tempo si vuole continuare in questa direzione bisognerà fare degli investimenti per adeguare le stalle. Il recinto notturno è una protezione che intanto sembra funzionare, ma che non può essere semplicemente scaricata sugli allevatori». Il sunto, ribadisce Anastasia, è che «abbiamo bisogno del sostegno della Confederazione perché da soli siamo destinati a chiudere».

‘Intervenga anche il settore turistico per informare sui cani da protezione’

Un altro aspetto della questione che crea grande dibattito è quello dei cani da protezione: «Purtroppo in Ticino non vengono visti di buon occhio perché il nostro è un cantone molto turistico – considera Anastasia –. L’alpe di Montoia ad esempio si trova sulla traversata della Tamaro-Lema dove passano migliaia di turisti all’anno. Per noi i cani potrebbero essere un grande aiuto per tenere al sicuro le capre, ma ci creerebbero un sacco di discussioni con gli escursionisti, quindi è molto difficile valutare se prenderli o meno. Ritengo però che gli enti del turismo assieme alle associazioni che vi hanno a che fare potrebbero prendersi la responsabilità di assumere delle persone per controllare i sentieri laddove gli alpeggi presentano dei cani da protezione con il compito di insegnare agli escursionisti come comportarsi. Si potrebbe così trovare una soluzione per la convivenza. Se si vogliono ancora mangiare i nostri formaggi è importante che tutta la comunità collabori».

E c’è chi ha già gettato la spugna, testimonia Anastasia: «In molti hanno smesso. Chi ha subito un attacco ed è vicino alla pensione o chi ha un’azienda agricola che non rappresenta l’attività principale sicuramente riflette molto bene se andare avanti. La coppia che gestisce il gregge sbranato sul nostro alpe ha circa sessant’anni e non trarrebbe alcun vantaggio dal mettere in atto tutte le misure di protezione necessarie in quanto sconvolgerebbero completamente la gestione dell’azienda poco prima di andare in pensione. Mi hanno detto che terranno le pecore per l’inverno e le venderanno in primavera. Conosco un altro caso simile a Claro. Devo dire che capisco molto bene che un contadino non accetti di cambiare il sistema del pascolo perché anche per noi è stato un rospo durissimo da ingoiare».

‘A repentaglio anche la biodiversità’

Diverse piccole attività sono dunque già sparite e altre sono destinate a fare la stessa fine. Un ulteriore problema, spiega Anastasia, è che queste realtà spesso gestiscono i posti più discosti con i prati più difficili da tagliare in cui non si può entrare col trattore. «Stiamo così perdendo anche un’importante risorsa per la gestione del territorio. E se pure aziende più grandi come la nostra a un certo punto decideranno di non più caricare gli alpeggi, il bosco si mangerà questi luoghi in poco tempo. Prepariamoci a vedere la montagna cambiare e a perdere prodotti regionali di qualità», afferma con amarezza Anastasia, che precisa: «Cerchiamo di resistere, ma questa resistenza non è infinita. Abbiamo tantissime sfide da affrontare quotidianamente già solo per il fatto di allevare esseri viventi che ogni giorno possono avere un problema o creare difficoltà di gestione. E il lupo rischia di essere la goccia che fa traboccare il vaso. Per questo abbiamo bisogno di un grande sostegno, non solo economico, ma anche di comprensione da parte di tutti, pure delle associazioni ambientaliste». Perché, dice la nostra interlocutrice, «in gioco c’è anche la biodiversità, aspetto che raramente viene preso in considerazione. Ad esempio sul nostro alpeggio a Montoia vi è una quantità di fagiani che non si trova spesso altrove. Questo è possibile per il fatto che negli ultimi dieci anni grazie al pascolo delle capre si è aperto un territorio ideale per il volatile. Se smettiamo di gestirlo, il fagiano scomparirà e con lui tante altre specie di fiori, erbe e insetti. A repentaglio, quindi, non sono solo le nostre attività e i nostri prodotti, ma un territorio intero».


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‘Chiuderle tutte le notti in stalla causa molti problemi’

Piemonte

Un percorso didattico e faunistico sul predatore

In Piemonte, a sud di Cuneo, da dieci anni a questa parte si trova un Centro unico nel suo genere in Italia che racconta il lupo e il suo rapporto con l’uomo. Il ‘Centro uomini e lupi’, ci spiega Stefania Rivelli, che opera come guida nella struttura ed è una delle cotitolari della ‘Cooperativa montagne del mare’ che la gestisce, è un percorso divulgativo sulla specie del lupo suddiviso in due strutture. Una sede si trova nell’abitato di Entracque e si focalizza sul rapporto tra il predatore e l’essere umano, l’altra è invece situata in località Casermette e si concentra sul modo in cui il lupo – che con un po’ di fortuna si può anche avvistare in lontananza – vive in natura.

‘Né buono, né cattivo, ha una sua biologia’

Lo scopo del Centro, evidenzia Rivelli, «è di far capire chi è il lupo e come vive. Un tempo i bambini ne avevano paura perché mangiava la nonna di Cappuccetto Rosso. Poi sono arrivate le favole moderne popolate di lupi belli e simpatici, e i bambini hanno iniziato a immaginarlo come un compagno di giochi. Sono entrambe visioni distorte. Il lupo è un animale che preda e si sposta in un determinato modo perché ha una sua biologia. Insomma, non è né buono né cattivo. È un animale selvatico e come tale va rispettato».

Prospettive da vari tempi, culture e figure

La struttura di Entracque è suddivisa in 4 stanze all’interno delle quali, grazie a un’audioguida, si va alla ricerca di storie e leggende sul lupo attraversando le culture e il tempo storico, spiega Rivelli. «Nella prima sala si raccontano delle favole che hanno per protagonista il lupo. Nella seconda si viaggia tra diversi Paesi e periodi. Nella terza si fa tappa in Piemonte dove una serie di figure – la vecchietta del villaggio, la donna nobile, il guardiacaccia, il cacciatore, il bracconiere – esprimono il loro punto di vista sull’animale. Nell’ultima sala si arriva ai giorni nostri e il dibattito è portato tra allevatori, veterinari, guardaparco, per conoscere le diverse visioni attuali sul tema».

Area di recupero con otto esemplari

Nella seconda struttura, oltre alla parte divulgativa dedicata al pubblico che prevede un percorso di approfondimento, è presente anche un’area faunistica che ospita attualmente otto lupi che si possono avvistare da una torretta, illustra Rivelli: «Si tratta esclusivamente di animali che non potrebbero vivere in libertà, o perché vittime di gravi incidenti, o in quanto già nati in condizioni di cattività. Praticamente è un centro di recupero in cui, tramite la possibilità di vederli, si prova a fare didattica, divulgazione e recupero della specie, nonché ricerca. Sono diverse le tesi svolte all’interno dell’area».

Itinerario a piedi sulle sue tracce

Tra i due Centri c’è un itinerario denominato ‘Sulle tracce del lupo’ che offre ai visitatori una passeggiata di due chilometri segnalata con cartelli decorati con impronte di lupo e attrezzato con cinque pannelli interattivi dedicati all’approfondimento di alcune tematiche: il ritorno naturale del lupo sulle Alpi; lupo e mortalità; la dieta del lupo; lupo e cane, nemici ma amici; la vita del lupo in branco. «Per costruirsi un’opinione documentata e consapevole».

Italia-Francia-Austria-Slovenia

Un coordinamento che travalica i confini

A partire dagli anni Novanta la popolazione di lupo è in espansione naturale sulle Alpi. Allo stadio attuale ha raggiunto tutti i Paesi alpini e le prime aree a bassa quota, in collina e in pianura. Per affrontare i problemi innescati dalla presenza del lupo per alcune attività umane, Italia, Francia, Austria e Slovenia hanno unito le forze nel progetto sovranazionale ‘Life WolfAlps Eu’. Attraverso una squadra di enti e istituzioni, l’obiettivo finale del progetto è migliorare la coesistenza tra il lupo e le persone che vivono e lavorano sulle Alpi, realizzando azioni coordinate nell’intero ecosistema alpino. «I lupi fanno parte della cultura, dell’etnografia e della tradizione non solo europea ma di tutto l’emisfero boreale in cui sono presenti – ripercorre Marta De Biaggi, del Gruppo comunicazione del progetto –. Se da un lato le popolazioni nomadi dedite alla caccia hanno sempre riconosciuto e ammirato l’abilità del lupo come predatore e ne hanno fatto un animale totemico da invocare e venerare, dall’altro, con l’aumento della stanzialità della specie umana, il lupo è diventato una minaccia per gli animali domestici. La tradizione del lupo come simbolo della malvagità è nata principalmente da un pericolo reale connesso al mondo agreste della pastorizia, nelle zone montane, pedemontane e nelle pianure dove il lupo aggrediva le greggi». All’esperta abbiamo posto alcune domande.

Si parla spesso dei danni, ma la presenza del lupo ha anche degli effetti positivi per le attività umane oltre che per l’ecosistema?

La conservazione del lupo ha molteplici motivazioni. Ad esempio a livello ecologico il predatore svolge un ruolo importante nella limitazione delle sue prede e di tutto l’ecosistema, in particolare degli ungulati che sono spesso causa di ingenti danni alle colture, e fornisce carcasse per gli animali spazzini. La sua presenza costituisce un contributo importante al mantenimento della biodiversità del territorio nel suo complesso. Inoltre i lupi sono animali dalla forte carica simbolica, la cui presenza comporta non solo benefici per l’istruzione e la ricerca, ma genera reddito attraverso il marketing territoriale e dei prodotti locali, nonché benefici socio-economici derivanti dal turismo faunistico. I conflitti e l’impatto economico negativo dei danni causati dal lupo al bestiame sono oggi i problemi più pressanti per la gestione del predatore, e necessitano di essere gestiti attraverso il dialogo tra istituzioni e i portatori di interesse per permettere la coesistenza tra il selvatico e le attività umane, ed evitare che, in territori sempre più antropizzati, si riducano gli effetti ecologici ed economici positivi dei grandi carnivori.

Dobbiamo aspettarci una crescita esponenziale degli esemplari della specie?

No, la popolazione di lupo cresce con la formazione di nuovi branchi in territori non occupati da altri, ma a livello locale è sempre e solo presente un branco, il cui numero di individui si mantiene stabile e non può aumentare in modo esponenziale. Proprio per questo motivo il numero dei branchi in un’area è limitato e non può crescere all’infinito, ma ha una capienza massima influenzata anche dalla superficie idonea e dalla densità delle prede disponibili.

La coesistenza uomo-lupo è davvero possibile? Quali sono i principali conflitti e le possibili risposte alle preoccupazioni umane?

Le predazioni da lupo sul bestiame sono la principale fonte di conflitto nella maggior parte delle aree dove lupi e allevamento si sovrappongono. Gli attacchi agli animali domestici, che in Europa coinvolgono soprattutto pecore, ma anche capre, bovini, cavalli, asini e renne semi-domestiche, possono abbassare il livello di tolleranza e accettazione del lupo da parte dell’opinione pubblica, con conseguenze gravi per la conservazione della specie. Inoltre, l’atteggiamento negativo a livello locale degli imprenditori zootecnici nei confronti della presenza di lupi è spesso dovuto alla difficoltà di reperimento degli strumenti di prevenzione degli attacchi al bestiame e alla mancanza di assistenza nell’affrontare le richieste di indennizzo e di accesso ai fondi a disposizione.

L’esperienza ha dimostrato che la reperibilità costante di personale in grado di fornire assistenza agli allevatori è efficace per far sì che a livello locale gli imprenditori zootecnici non si sentano abbandonati o, addirittura, considerati come un elemento meno importante del lupo. È a questo scopo che nell’ambito del progetto Life WolfAlps Eu sono state istituite le unità di pronto intervento per la prevenzione degli attacchi da lupo. Tale strumento è utilizzato per rispondere in modo efficace al bisogno di assistenza degli allevatori professionisti e non. Attualmente se ne contano un totale di 42 sulle Alpi di cui 28 in Italia. In Piemonte le 16 squadre presenti intervengono per affiancare gli allevatori professionisti e amatoriali nella prevenzione degli attacchi, precisamente nel reperimento e messa in opera di sistemi di prevenzione, nell’assistenza all’accesso alle misure di indennizzo e supporto alla prevenzione, e nel corretto impiego dei cani da guardiania. A questo proposito sono molteplici le iniziative di divulgazione per sensibilizzare gli escursionisti alla presenza di tali cani in aree turistiche, che in alcuni casi possono destare preoccupazioni. Sono inoltre diverse le iniziative volte a coinvolgere il pubblico generico a titolo volontario in attività di supporto alla pastorizia.


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Molteplici iniziative per sensibilizzare gli escursionisti sui cani da guardiania

Oltre al conflitto dovuto alle predazioni sul bestiame, la conservazione del lupo nelle aree antropizzate deve affrontare anche altri tipi di conflitto, come la tensione con il mondo venatorio dovuta alla competizione per le prede selvatiche e all’uccisione dei cani da caccia oppure il conflitto generato dalla paura delle persone di venire attaccate dai lupi. Ripeto: solamente attraverso il dialogo e il confronto è possibile attuare soluzioni concrete per una coesistenza tra specie selvatiche e attività umane.