laR+ Onsernone

‘Se vince il predatore l'agricoltura di montagna muore’

Due allevatrici di bestiame dell’associazione Terramagra: 'lavorare in queste condizioni diventa impossibile. La politica di gestione del lupo non va’

In sintesi:
  • Quando si vive con 'l'angoscia degli attacchi'
  • La richiesta? Essere più tutelati
1 aprile 2023
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“Se vedi una valanga scendere da una montagna, sull’altro versante, è uno spettacolo. Ma se sei sotto, la prospettiva cambia”. Sono parole di Christiane Kostka, allevatrice di bestiame di Cavigliano, titolare con la sua collega Katherina Goos, di Spruga, di una piccola azienda agro-zootecnica. Entrambe fanno parte dell’associazione agricola ‘Terramagra’, nata nel 2009 come progetto d’interconnessione fra la trentina di aziende presenti su un territorio che abbraccia le Centovalli, la Valle Onsernone, le Terre di Pedemonte e le Isole (versante Ascona-Brissago). Sostenere iniziative per arricchire la biodiversità e promuovere i prodotti locali lo scopo primo. Già dalla denominazione, ‘Terramagra’, si capisce che non si parla di allevamento e agricoltura su grandi superfici. Anzi, il nome scelto vuole risaltare le difficoltà morfologiche (terreno ripido e sassoso) che caratterizzano questa regione alpina. Già svantaggiati dal punto di vista delle pendenze, ecco che negli ultimi tempi gli agricoltori e allevatori dell’associazione hanno dovuto affrontare un nuovo ostacolo: il lupo. L’impatto del predatore sulle attività del settore è fonte di crescente apprensione. «La situazione peggiora, aumenta la pressione, aumentano le predazioni» – spiega Christiane, mettendoci sotto il naso le tabelle relative al numero di lupi e branchi in Svizzera. Grafici dai quali emerge, in modo chiaro, un’impennata degli esemplari (circa 240 lupi e più di una ventina di branchi censiti). «Siamo preoccupati per il futuro dell’agricoltura, della cura del paesaggio e della biodiversità. Nella nostra realtà territoriale possiamo allevare perlopiù ovini e caprini proprio perché i terreni, nelle valli, sono troppo in pendenza. La nostra è un’agricoltura su scala piccola. Lavorare in queste condizioni è già di per sé difficile, visto che spesso non puoi impiegare i macchinari e devi fare tutto a mano. Il lupo, in questo contesto, per tanti allevatori è troppo! Chi si appresta a cessare l’attività e cerca un successore si sente chiedere, per prima cosa: e con il lupo com’è? Sentita la risposta, gira le spalle e se ne va. E così muoiono le nostre piccole aziende».

‘Vivere con l’angoscia di attacchi’

«Se aumentano ulteriormente i predatori, la montagna muore. Se sparisce il bestiame minuto da monti e alpi, finiremo in un unico bosco fitto e i bei pascoli montani spariranno sotto gli arbusti invasivi. Sarebbe un impoverimento del paesaggio naturale e culturale che tiene sua bellezza nel mosaico ricco di biodiversità» – afferma, con convinzione, Katharina Goos, che quattro anni fa sui monti sopra Spruga, in alta Onsernone, si è vista azzannare a morte una capra. Potrebbe sembrare, a prima vista, poca cosa. Ma da lì in poi la sua vita non è più la stessa: «Da quel giorno è cambiato tanto. Lì si tocca l’esistenziale e si entra in una sorta di sopravvivenza. Da noi, ristrutturazioni elementari del costruito esistente sono state relegate in secondo piano; la sicurezza degli animali ha ottenuto la priorità. Difficile trovare un ritmo che permetta di fare avanzare i cantieri in sospeso dopo l’incendio che qualche anno fa mi aveva portato via tutto salvo le bestie. Tutto si è fermato, compresa la ristrutturazione della cascina che ci serve da provvisoria sosta; tutti parlano soltanto del lupo». Come nel romanzo di Buzzati ‘Il deserto dei Tartari’, Katharina aspetta un attacco da un momento all’altro: «Ho dovuto chiudere in stalla il bestiame per evitare di esporlo a rischi e lo sforzo non è poca cosa. Impossibile recintare ettari di terreno da pascolo quassù, vista la morfologia dei pendii e il fatto che questi sono utilizzati più che altro per lo sfalcio. L’immagine delle pecore intrappolate in un recinto quando si sa che i lupi imparano velocemente a scavalcare i fili elettrici o a scavare sotto non tranquillizza certo. In inverno, poi, quando nevica copiosamente pali e fili spariscono sotto la coltre nevosa. Qui non siamo sugli ampi pascoli della Svizzera interna, dove è facile installare protezioni elettriche. Prima, almeno, potevamo portare gli animali all’alpe in estate, ora stiamo cercando una sistemazione di estivazione adeguata. Abbiamo preso dei cuccioli di cani da protezione sperando ci possano aiutare. Tenere le bestie in spazi ristretti è penalizzante perché si nutrono meno bene, soffrono le temperature alte, vorrebbero andare nei boschi a cibarsi e riposare». Le fa eco Christiane: «Ho provato con i lama, animali impiegati per la protezione del bestiame, ma non funziona. I camelidi non riescono a seguire le greggi sui pendii molto ripidi e sassosi. Se rimangono attardati poi succede che ovini e caprini restano esposti al pericolo. L’impiego dei cani rende comunque necessaria la presenza dei pastori nelle vicinanze, per evitare che magari qualche escursionista si spaventi incrociandoli sul suo cammino. Tante aziende non possono realizzare un progetto efficace di protezione dal gregge. Pure da Berna, l’Ufam non è che nella sua strategia di tutela del bestiame abbia tenuto in debita considerazione la nostra realtà: sussidiano i volontari incaricati di curare le greggi durante la stagione dell’estivazione mentre le piccole aziende come le nostre non possono beneficiare di questo aiuto. Non bastasse, ecco che ci hanno privati del supporto dei civilisti nell’agricoltura».

Scarso peso politico, scarso interesse

Chiedono alle autorità più tutela gli allevatori che hanno il loro bel daffare anche quando si parla di risarcimenti: “Non è mai evidente ottenere il rimborso. Se non viene trovata in tempo la carcassa dell’animale morto, non ti pagano. Purtroppo non c’è una legge che protegge noi e i nostri animali. Non chiediamo, sia ben chiaro, l’eliminazione di tutti i lupi, perché sono parte del nostro ecosistema. Ma laddove la situazione pone dei problemi seri bisogna avere il coraggio d’intervenire in tempi brevi. O, ripeto, sarà la fine di tante piccole aziende sul nostro territorio. Un settore che purtroppo non ha un gran peso politico». Non ci può essere una legge che protegge il lupo senza una legge che consenta al pastore di difendersi, oltre che di vedersi almeno adeguatamente rimborsati i danni provocati dal predatore, pare di capire: «La nostra agricoltura ha funzionato per decenni ma ora con l’aumento considerevole dei lupi è minacciata – conclude Christiane, giunta in Ticino dalla Germania per dare una svolta alla sua vita e condividerla con gli animali –. Mi rendo conto che il tema suscita comprensibili emozioni, ma qui si tratta di usare la testa. L’aumento marcato della popolazione dei lupi richiede una vera gestione faunistica e necessita di piani di abbattimento selettivo, altrimenti succede quanto accade per caprioli e cinghiali». La pastorizia, secondo le due esponenti di Terramagra, in tante zone non è coniugabile con la presenza di troppi predatori: «Per molti cittadini il lupo rappresenta un animale simbolo di natura selvaggia, una componente dell’ecosistema fondamentale; quindi da tutelare proteggendolo e mitizzandolo. Per non parlare dei commenti sui social fatti alle spalle di chi fa sacrifici per difendere la biodiversità e produrre alimenti genuini. Suonano come un pugno sferratoci in pieno volto».