L’arresto di don Rolando Leo, con cui collaboro da 10 anni nell’ecumenismo, mi ha colpito profondamente. Al di là di questo caso, leggendo l’intervista al pastore Stefano D’Archino, ho notato la classica domanda sul celibato. L’idea che l’astinenza sessuale dei presbiteri cattolici sia all’origine di violenze è molto comune. Può entrare in gioco a volte l’immaturità emotiva di preti cattolici entrati in seminario giovani senza una adeguata educazione all’affettività e alla sessualità. Ma tanti atti sono compiuti anche da laici non costretti né al celibato né alla castità.
Leggo su altri giornali inviti all’ascolto e alla preghiera. Vorrei leggere più dichiarazioni in cui si prende atto, invece, del grande problema del maschile (patriarcale) e del potere. Perché la violenza non ha nulla a che fare con il sesso, bensì con il potere. È come se il maschile venisse ancora oggi educato a non avere confini.
Se, ad esempio, una donna che viene fatta oggetto di attenzioni non volute, rispondesse per le rime, l’uomo non si mortificherebbe, anzi reagirebbe in modo aggressivo verso di lei come se gli venisse tolto un suo diritto di disporre delle altre persone come vuole. Questo superamento dei confini normalmente non avviene tra maschi perché si è tra pari. È questo il punto: i minori sono come le donne, non sono alla pari per una certa mentalità maschile che invita a proteggere le “proprie” donne dalla violenza invece che a educare i propri figli maschi. La cultura dello stupro (verso donne e minori) non riguarda il sesso ma è una affermazione di potere. Pensare alla violenza su minori solo come patologia (che purtroppo esiste) serve solo a non farsi carico del problema mentre è necessario un ripensamento del ruolo del prete, del maschio e della gestione del potere.