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Francesca Snozzi, una lezione di rigore

È da poco scomparsa Francesca Snozzi, classe 1931, per alcuni decenni anima e reggitrice di Cooperazione, settimanale edito dall’allora Unione svizzera delle cooperative di consumo (Usc), in seguito Coop Svizzera (dal 1970). Redatta e stampata a Basilea fin dal 1906, Cooperazione era riuscita nel secondo dopoguerra ad arruolare alcune «grandi firme» del panorama giornalistico svizzero-italiano. Elenco a memoria: Basilio M. Biucchi, Virgilio Gilardoni, Giovanni Bonalumi, Plinio Martini, Giorgio Orelli, Gian Piero Pedrazzi, Silvano Toppi, Enrico Morresi, Carlo Piccardi, Adriano Soldini, Fabrizio Fazioli, Tiziano Colotti… Formalmente diretta da Ugo Frey, personaggio estroso ma refrattario alla disciplina aziendale, Cooperazione dava voce all’intellighenzia che intendeva fendere la cappa calata sul Paese durante la guerra fredda. Uno stato che lo scrittore Paul Nizon riteneva angusto e gretto, fatto apposta per ottundere le menti migliori. Naturalmente non tutti apprezzavano tale «impegnata» linea editoriale, giudicata troppo sbilanciata a sinistra. Ma sia Frey che Francesca, divenuta sua assistente redazionale nonché factotum (dalla contabilità all’organizzazione di viaggi e spettacoli per i soci), non si arresero mai alle pressioni che dal Ticino giungevano alla direzione generale renana. Accadeva talvolta di dover piegare il capo. Ma la resa arrivava al termine di lunghe e sofferte battaglie. Nei piani alti si guardava con sospetto alla redazione di lingua italiana, un po’ per scarsa conoscenza del cantone, un po’ perché si riteneva che l’ideale cooperativo dovesse porsi «super partes» e non farsi contaminare dalle beghe politiche, frequenti nel discolo Ticino.

Nel confezionare il giornale, Francesca era inflessibile. I contributi abborracciati finivano nel cestino, oppure venivano riscritti dal collega Thomas Passaglia, anch’egli defunto alcuni anni fa. Non sopportava il pressappochismo. La correzione delle bozze assomigliava a un’operazione chirurgica, con il proto (responsabile della composizione) che ogni tanto dava fuori di matto per i ripetuti interventi sulla pagina. La dedizione al lavoro era totale, sorretta da un’etica professionale non teorizzata ma praticata in ogni momento della giornata. Cooperativismo significava consumo responsabile ma anche una concezione mutualistica del vivere in società, con addentellati nel terzo mondo, come fu il caso nella campagna per l’aiuto al Dahomey (oggi Benin).

Amava il cinema, la letteratura (voleva leggere tutti i libri che i collaboratori recensivano sul suo giornale) e aveva un occhio di riguardo per i famigliari, alcuni dei quali celebri, come l’architetto Luigi. Una lezione di rigore, insomma, che è rimasta infissa nella memoria di coloro che l’hanno conosciuta e vista all’opera, come il sottoscritto.