Nella Regione di martedì 4 luglio si leggeva un breve trafiletto sull’incursione israeliana a Jenin, città della Palestina occupata e campo per profughi palestinesi, che ha causato la morte di una dozzina di palestinesi e il ferimento di altri 100, oltre a enormi distruzioni e migliaia di sfollati. Sono stata a Jenin con Urgence Palestine, pochi mesi dopo l’incursione dell’esercito israeliano del 2002. Il centro della città era raso al suolo. Le case ancora in piedi erano fortemente danneggiate dai pesanti mezzi corazzati israeliani che si erano infilati nelle viuzze. Abbiamo parlato con un anziano abitante nel salotto di casa sua dove però mancavano una parete e la porta. Il ventilatore al soffitto era sformato dalle fiamme. Mentre stava raccontando di quei terribili giorni di aprile è arrivato un gruppetto di bambine e bambini che vedendo noi stranieri si sono fatti prendere dal panico. Non dimenticherò mai i loro occhi. Quei bimbi di allora oggi sono adulti, cresciuti sotto occupazione, che è sinonimo di non potersi spostare liberamente, di checkpoints, di pericolo di essere arrestati, di oppressione, di avere poche prospettive nella vita… Forse sono genitori di bimbi che hanno l’età che loro avevano all’epoca dell’incursione israeliana di 21 anni fa. Niente è cambiato, anzi, da allora le condizioni di vita dei palestinesi sono peggiorate di anno in anno. La comunità internazionale guarda e tace.