Ogni anno, all’avvicinarsi della data del Palio degli asini di Mendrisio, sento salire in me un profondo sconforto. Non tanto per la gara in sé che, mi si dirà, non causa maltrattamenti agli animali, ma perché ogni volta mi trovo a fare i conti con uno "spettacolo", dal mio punto di vista, essendo proprietaria di due asini – anche se preferirei definirmi compagna umana – triste, anacronistico e diseducativo.
Io ho visto correre i miei asini solo per due motivi: per sfuggire da insetti fastidiosi o per giocare tra di loro. Gli asini sono docili, miti, sono lenti, d’indole tranquilla, e si bloccano se si sentono minacciati o se si sentono in pericolo.
Per quale motivo allora obbligarli a correre strattonandoli, ridere di loro se si fermano e non partono più, e forzarli a essere cavalcati da improvvisati fantini che non conoscono, per fare una corsa che va contro la loro natura?
Mettere un animale nelle condizioni di non potersi esprimere liberamente e compatibilmente con i suoi ritmi e le sue attitudini, schernirlo e umiliarlo solamente perché mostra sue reazioni naturali a coercizione e frustrazione, è una mancanza di rispetto del diverso e della dignità della vita in generale. L’asino è stato per secoli ridicolizzato, sfruttato e umiliato per alcuni suoi comportamenti che altro non sono che sue peculiari caratteristiche che gli hanno permesso di adattarsi e sopravvivere.
Invece d’insegnare agli spettatori più piccoli a godere di una gioia indotta dalla messa alla berlina di un animale (del diverso…) perché non insegnare loro che il rispetto nasce dall’osservazione, dall’ascolto, dalla comunicazione, dalla reciproca fiducia, dall’empatia, e che solo per mezzo di un contatto senza precarizzazione e derisione esso può trasformarsi in un fattore di comunione, di conoscenza e di scambio per costruire un mondo migliore?